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Ecco il Manifesto dell'allevamento etico: 7 regole per il benessere animale

Allevamento brado, semibrado o confinato? Pascoli e paddock in legno o stalle in cemento? Stabulazione fissa o libera? Animali come prodotti o esseri senzienti? Farmaci, ormoni e super mangimi o alimentazione grass fed (solo ad erba)? Zootecnia intensiva o allevamenti etici? Il tema è fra i più dibattuti del momento. I consumatori italiani cominciano a farsi domande: modificano gli stili alimentari e fanno calare i consumi della carne (-6%). Così cambia l’intera filiera.

Torna la vecchia fattoria

Il trend è quasi impercettibile, ma è destinato a crescere: almeno il 5 % degli allevatori sta abbandonando i capannoni industriali per tornare alla vecchia fattoria. In Italia una piccola percentuale di impianti (soprattutto tra Emilia Romagna e Piemonte) si converte a pratiche etiche e sostenibili, superando in molti casi gli standard del biologico. Il processo è lento e presuppone una trasformazione radicale, incentrata sul benessere animale. Con ricadute (positive) sulla salute dell’uomo e sull’ambiente.

Benessere animale, sondaggio della Commissione europea

Un recente sondaggio condotto dalla Commissione europea ha rivelato che la grande maggioranza dei cittadini comunitari tiene molto al benessere degli animali e vorrebbe migliorare significativamente gli standard di allevamento: l’Eurobarometro sul benessere animale 2016 è stato richiesto da Eurogroup for Animals, con sede a Bruxelles. Considerati i risultati, il modello intensivo dovrà essere ripensato. L’Unione vanta criteri elevati di benessere animale rispetto al resto del mondo. Il quadro generale di azione è definito nella Strategia europea per la protezione e il benessere degli animali 2012-2015. Ma il riferimento è a singole categorie: vitelli, suini, galline ovaiole. Per queste ultime sono state abolite le gabbie convenzionali e prescritte quelle “arricchite”. Ma il vero benessere sarebbe razzolare a terra. O pascolare in libertà.

L’alternativa non è solo veg

“Attualmente la maggior parte dei prodotti di origine animale presenti sul mercato deriva da allevamenti intensivi, che per loro natura utilizzano tecniche industriali per ottenere la massima quantità di prodotto al minimo costo – spiega Barbara Pollini, presidente dell’associazione Allevamento etico – Sono condizioni che non rispettano l’etologia dell’animale e possono causare gravi danni all’ambiente. In molti chiedono un’alternativa”. Che non è necessariamente una scelta vegana.

Il Manifesto di Allevamento etico

L’associazione – che collabora col Slow Food e che ha censito (e valutato) in Italia 28 allevamenti etici – ha redatto un manifesto. Fra i punti salienti il rispetto delle cinque libertà elencate nel 1965 dal Brambell Report: animali liberi dalla sete, dalla fame e dalla cattiva nutrizione, dai disagi ambientali. Dal dolore, dalle ferite, dalle malattie, dalla paura e dal disagio. Liberi di poter manifestare il proprio comportamento di specie: concepimento in libertà, allattamento dei vitelli, svezzamento naturale, alimentazione in età adulta di prato, pascolo e foraggio biologico di alta qualità. A disposizione spazi confortevoli, puliti e asciutti e relazioni di fiducia con l’uomo (presenza di operatori adeguatamente formati). Cure naturali (non ormoni, antibiotici, antiparassitari) e trasporto al macello in condizioni di tranquillità, meglio se a km0.

Via il foie gras dagli scaffali della Gdo

In qualche caso la Gdo si è mostrata sensibile all’argomento: sulle galline ad esempio, Coop garantisce buone pratiche di allevamento e adeguate condizioni di stabulazione, igiene, alimentazione e salute. Insieme a Pam e Eataly, ha rinunciato alla vendita di foie gras, contro la tortura dell’alimentazione forzata. “La grande distribuzione ha ruolo fondamentale per il miglioramento delle filiere – spiega Elisa Bianco, responsabile del settore alimentare di Ciwf Italia (Compassion in World Farming ), associazione no profit che lavora da 50 anni nel mondo per la protezione e il benessere degli animali negli allevamenti – visto che può veicolare informazioni a un grandissimo numero di consumatori”. La onlus accompagna gli imprenditori convenzionali nella conversione a modelli sostenibili.

Benessere animale, Ciwf premia le aziende virtuose

Lo scorso anno Ciwf ha premiato le aziende agroalimentari di tutti i continenti (41) impegnate a migliorare il benessere animale. Fra le italiane Ferrero, per aver utilizzato in tutti i prodotti venduti in Europa solo uova provenienti da galline non allevate in gabbia, Fumagalli Industria Alimentare per aver eliminato le gabbie di allattamento e di gestazione delle scrofe. ValVerde che, con il marchio Gran Selezione Pollo dal Piemonte, utilizza solo polli da carne ad accrescimento più lento.

In Italia 800 milioni di animali

“Negli allevamenti italiani si contano 800 milioni di animali: polli, suini, bovini, conigli e tacchini. Per nutrirli viene utilizzato il 50% dei cereali, coltivato sul 36% dei terreni disponibili. Agli animali viene somministrato il 71% degli antibiotici: l’Italia si piazza al terzo posto in Europa per il loro utilizzo negli stabulari, dopo Spagna e Cipro. Ogni giorno, nel nostro Paese, solo gli allevamenti di suini producono 52mila tonnellate di letame e il 79% delle emissioni di ammoniaca proviene dall’allevamento assieme al 72% delle emissioni di gas serra generati dall’agricoltura”: Annamaria Pisapia, direttrice di Ciwf Italia cita i dati dell’ Ispra e conferma lo scenario mostrato nell’ultima puntata di Report a proposito di antibiotico-resistenza.

Piano di riduzione obbligatorio del consumo dei farmaci

Già due mesi fa la onlus italiana aveva diffuso i numeri allarmanti contenuti nel rapporto del ministero della Salute sulla presenza di batteri antibiotico-resistenti negli avicoli, chiedendo alla ministra Beatrice Lorenzin dati trasparenti sull’impiego di antibiotici e sulle resistenze che sviluppano. Oltre al piano di riduzione obbligatorio (e non volontario) del consumo dei farmaci. Sul web la petizione.

La campagna “Non nel mio piatto”

Con una campagna di crowdfunding Ciwf Italia nei mesi scorsi ha portato nei cinema un spot contro l’immaginario artificiale creato dall’industria alimentare per poter nascondere pratiche crudeli di allevamento. “ Non nel mio piatto” propone un’alternativa sostenibile agli allevamenti intensivi e un consumo ridotto di carne: “Mangiamone meno, ma di allevamenti rispettosi del benessere degli animali come sistemi all’aperto o biologici”, esorta Annamaria Pisapia.

Allevamenti “grass fed”

Intanto aumenta il consumo di carne grass fed, proveniente da allevamenti in cui gli animali sono nutriti in libertà esclusivamente ad erba: contengono più Omega 3, più antiossidanti, più vitamine rispetto alle carni di bovino che si alimentano a cereali. In Svizzera sono la regola. In Italia se ne trovano alcuni al Nord, ma anche in Sicilia e Sardegna. Nei pascoli montani della valle Brembana, ad esempio, i bovini di razza Highland vivono allo stato brado nell’azienda di Hans Quarteroni: si nutrono di erba e fieno. Il costo di gestione dell’allevamento è sostenibile, la qualità del prodotto è superiore alla media, ma la resa è inferiore: i bovini di origine scozzese pascolano per tre anni fino a raggiungere i 450 kg. Poi a 5 km li attende il macello. Per un miliardo di polli, invece, e 37 milioni di bovini, suini, ovini, caprini ed equini il fine vita è già su un camion che li trasporta vivi su lunghe distanze all’interno e fuori dall’Europa. Eurogroup for animals ha lanciato la campagna #stopthetruck.

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