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Sì europeo al "novel food": anche alghe e insetti nel piatto

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Sì europeo al "novel food": anche alghe e insetti nel piatto

Il cibo del futuro? È più vicino di quanto pensiamo. Microorganismi, larve, gin alla formica: sono solo alcuni dei prodotti che potrebbero rigenerare gli schemi del “novel food”, i prodotti alimentari frutto di innovazione tecnologica o tradizioni esterne all’Unione Europea che ottengono il via libera da Bruxelles per la vendita sul Continente. Il parlamento europeo ha votato oggi per il rinnovamento della regolamentazione, vecchia di quasi 20 anni (risale al 15 gennaio 1997) e giudicata «complessa, costosa e prolungata» da un’industria alimentare che cresce a velocità doppia rispetto ai cavilli normativi. La proposta di riforma, avanzata nel 2013, fa seguito al fallimento di un tentativo iniziato nel 2008 e naufragato nel 2011 sul nodo – spinoso – della carne clonata.

Cosa significa Novel Food (per ora)

Se ci rifacciamo al regolamento in discussione, l’etichetta di Novel Food indica tutti i prodotti non consumati «in maniera significativa» in Europa prima dell’entrata in vigore delle norme attuali. Nel concreto, la casistica si divide in due categorie: prodotti sviluppati con nuove tecnologie o consumati da più di 25 anni al di fuori dai confini dell’Unione Europea (nei cosiddetti Paesi Terzi). Qualche esempio? Chewing-gum con una nuova composizione chimica, olio di colza, la vitamina K2, i succhi prodotti ad alta pressione. Un capitolo a sé è rappresentato dagli insetti, sfida in crescita per la sostenibilità alimentare. Tra i protagonisti della ricerca culinaria di settore c’è Roberto Flore, giovane chef italiano alla testa del Nordic Food Lab di Copenhagen. Flore, in collaborazione con Afton Halloran (ricercatrice sugli Edible Insects con Greeinsect, Università di Copenhagen) ha già proposto un “assaggio” di come si potrebbero presentare gli insetti edibili in una degustazione ad hoc per la stampa all’Europarlamento. Menù? Dall’antipasto di formica alla granella di fuco, dalle larve di ape al già citato Anty Gin, un gin a base di formica che ha chiuso la degustazione.

Le critiche alla vecchia regolamentazione

I macro-criteri per l’autorizzazione, in linea teorica, sono l’assenza di rischi per salute umana, la trasparenza verso i consumatori e il non essere «nutrizionalmente svantaggiosi» rispetto agli alimentari che si candidano a sostituire sul mercato. In “linea teorica”, perché l’iter è molto più problematico di quanto suggeriscano i principi. Gli atti legislativi che lo disciplinano sono la regolamentazione generale, la stessa “Novel Food” (Ec 258/97) e un’integrazione successiva (Ec 1852/2001) che fissa ulteriori paletti sulle informazioni che devono essere fornite dai richiedenti. Il groviglio burocratico emerso dai due fa sì che un’azienda interessata a introdurre nuovi prodotti debba, nell’ordine, 1) inoltrare la richiesta all’autorità nazionale competente, 2) aspettarne le valutazione, a sua volta inoltrata alle autorità degli altri stati membri e 3) verificare che non sia necessario un secondo filtro della European Food Safety Assessment (Efsa). Se tutti i passaggi sono superati e non ci sono obiezioni dalla Commissione o gli Stati membri, il prodotto può essere immesso sul mercato.

Il problema è quando le obiezioni ci sono e si fanno sentire, come successo nell’80% dei casi. Se un qualsiasi paese membro solleva dei dubbi, si rende necessaria una seconda valutazione dell’Efsa e la Commissione deve redigere un’autorizzazione addizionale, esposta al via libera della Standing Committe on Food Chain and Animal Health (Scofcah). Tempi e costi finali? Le procedure hanno richiesto una media di tre anni, con una spesa di 25-40mila euro pronta lievitare nell’ordine dei milioni di euro in caso di documentazioni più impegnative. Una trafila superata da appena 80 prodotti in 17 anni, per un totale di 180 domande (la Commissione Europea stima una media di 7-10 richieste l’anno), sei prodotti respinti e 20 procedure ritirate in corso d’opera.

La nuova proposta: nuovi criteri, processo centralizzato e semplificazione per i prodotti “esotici”

La proposta di rinnovamento parte proprio dai «punti di consenso» che si erano individuati nel 2011, prima della rottura sulla vexata quaestio della carne clonata. I pilastri sono soprattutto quattro: rimuovere le categorie che definiscono oggi il “novel food”, centralizzare la procedura, erendere generale (anziché individuale) la richiesta di certificazione, semplificare l’accesso sul mercato di prodotti che appartengono alla tradizione di paesi Terzi. Il primo punto consisterebbe, semplicemente, nel “pensionare” le griglie di definizione del Novel food: non più un “cibo nuovo” secondo il doppio criterio di elaborazione tecnologica o estraneità alla cultura Ue, ma un prodotto da valutare secondo le normative generali sul food (come la regolazione Ec 178/2002, quella che sancisce i principi generali del cibo) e alcune categorie aggiunte ad hoc. Il secondo punto – la centralizzazione della procedura – suggerisce di spostare la competenze della valutazione dai singoli paesi alla Commissione, con un risparmio evidente nei tempi (da tre anni a 18 mesi) e l’eventuale consulenza dell’Efsa. Il terzo punto permetterebbe di rendere generale (aperta a tutti) un’autorizzazione che oggi deve essere presentata e gestita in forma individuale, obbligando le singole aziende a sobbarcarsi l’intero processo per lo stesso Novel food. Il quarto, e ultimo, spiana la strada a una “digestione” più agevole di tutti i prodotti che appartengono alla tradizione extra-Ue da un periodo superiore ai 25 anni.

…e le sue critiche

Fin qui la proposta. I nodi più caldi, però, sono emersi da tempo. Ad esempio l’associazione europea dei consumatori (The europena consumer organisation, Beuc) ha già contestato la quarta modifica in scaletta, facendo notare che il consumo «per più di 25 anni» fuori dall’Europa non equivale a una garanzia di sicurezza con tutti i criteri. Dubbi anche più evidenti sono emersi sull’ipotesi di rimuovere le vecchia barriera protettiva di “novel food” e la capacità dell’Efsa di sobbarcarsi tutti i procedimenti di autorizzazione richiesti dai singoli stati Membri. Uno dei terreni più discussi è rappresentato dai nano-materiali, di fatto contemplati dai criteri del nuovo cibo. È la stessa Efsa a far notare che non esiste una definizione accurata di “nano-food” in Europa, cosa che rende molto meno affidabile la stima dei rischi. Una delle proposte di transizione è abbassare la soglia di nano-ingredienti nei prodotti al 10% (dall’attuale 50%). Anche più ostica, e accesa, la discussione sulla carne clonata. Alcuni gruppi, come i Verdi Europei, chiedono «perché si debba insistere sule carne quando siamo già in crisi di sovrapproduzione» e fanno notare che, tra le nuove categorie in valutazione, si parla anche di «cibo derivato da animali clonati o dai loro discendenti».

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