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Raccoglitore di erbe: quando serve una "patente"

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Mestieri del cibo

Raccoglitore di erbe: quando serve una "patente"

Un popolo di circa 100mila individui è la stima di Cia-Confederazione italiana agricoltori sugli italiani “raccoglitori”, ovvero chi si dedica per diletto, passione o integrazione del reddito al foraging. I raccoglitori di erbe spontanee non sono quindi solo figure del passato.
Per supportare questo trend stanno sorgendo un po’ in tutta Italia corsi, passeggiate e degustazioni, da quelli organizzati dagli agriturismi e fattorie a quelli delle condotte di Slow Food.
Ma, al di là dell’hobbistica, come si diventa raccoglitore professionista?

Manca una regolamentazione nazionale

È doveroso sottolineare come dal 1931 ad oggi non ci sia alcuna legge, eccezion fatta per le provincie di Trento e Bolzano, che tratti di raccolta spontanea in Italia, sebbene la commissione europea nel 2006 abbia emanato una guida alla pratica della raccolta di piante officinali spontanee (GWP), ma che purtroppo non assume carattere legislativo, ed è solo una norma di buon comportamento.

A Trento e Bolzano l’unica normativa aggiornata

Come detto, la Provincia di Bolzano, con decreto, ha normato nel 2013 la “coltivazione, raccolta, lavorazione e vendita di piante officinali, piante aromatiche e piante selvatiche”, disciplinando così la legge provinciale del 1999, e rilasciando regolare autorizzazione alla raccolta a chi ne faccia richiesta, dopo aver frequentato appositi corsi. Parimenti il decreto del presidente della Provincia di Trento dal 2008 salvaguarda e tutela il lavoro del raccoglitore, richiamandosi a leggi provinciali antecedenti. In entrambe le province sono stilati appositi elenchi dei raccoglitori autorizzati e diffusi opuscoli sulle piante. Ma al di fuori del Trentino Alto Adige, in tutta Italia resta in vigore la legge che stabilisce siano solo gli erboristi gli unici autorizzati. Salvo qualche tentativo, andato a vuoto.
In Veneto dal 2014, per esempio, si discute una “legge per la raccolta e cessione di piante della flora spontanea”, ma dopo varie proposte e rinvii nulla è stato fatto. Perché, se è vero che “non si può obbligare la signora Maria a prendere il patentino per andare a bruscandoli”, come generalmente si obietta ai tentativi di normare, è altrettanto vero che un’autorizzazione è necessaria nel momento in cui i suddetti “bruscandoli” diventano oggetto di commercio e guadagno.

Erboristi e agricoltori, scontro sull’erba

Da qui lo scontro. Da una parte gli erboristi, unici titolati alla raccolta e commercializzazione di erbe spontanee, comprese le preziose e remunerative officinali, che vogliono difendere la legge del 1931, dall’altra chi, da Coldiretti alla Cia, vorrebbe estendere la facoltà a più soggetti. Per sensibilizzare la popolazione Cia-Confederazione italiana agricoltori e Vas-Verdi Ambiente e Società onlus hanno promosso lo scorso 23 maggio, la X edizione della Giornata nazionale ‘Mangiasano’ in oltre 20 città: laboratori, piccoli corsi formativi, dibattiti, degustazioni e mercatini, tutti eventi uniti dal ‘filo rosso’ che porta a una corretta divulgazione circa la conoscenza e la tutela del patrimonio di biodiversità del nostro Paese, comprese le piante alimurgiche.
La scorsa settimana poi la questione è approdata e stata discussa al Mipaaf, sulla base di un “Piano di settore della filiera delle piante officinali 2013-2016” approvato dalla Conferenza Stato-Regioni lo scorso aprile. Il Piano è frutto di un lavoro durato due anni di un gruppo di esperti ricercatori, ma anche economisti e legislatori, sotto il patrocinio del Ministero delle Politiche Agricole e del Ministero della Salute e l’approvazione del Ministero dell’Ambiente. «Ora la palla è passata alle singole Regioni che dovranno regolamentare e normare queste indicazioni – spiega Laura Di Renzo, docente della sezione di Nutrizione Clinica e Nutrigenomica dell’Università degli Studi Tor Vergata di Roma e coordinatrice del gruppo di ricerca per l’allegato tecnico del piano –. Il problema è che tecnicamente il settore è normato solo per quanto riguarda le piante officinali, categoria in cui ricadono poi anche le cicorie, il basilico o altre piante usate solo per l’alimentazione».

Verso un “patentino” dei raccoglitori

Non solo il raccoglitore quindi non è normato, ma nemmeno formato. E’ vero che si tratta di piante di uso comune, ma spesso ve ne sono di simili pericolose o dannose per la salute: basti pensare ai fiori del finocchietto e della cicuta.
«Ho proposto al Mipaaf – aggiunge Di Renzo – che anche per queste figure accada qualcosa come per i raccoglitori di funghi, che godono di un patentino. Questo a tutela sia del consumatore, sia dell’ambiente perché, al di là delle specie protette, il rischio di depredare il territorio è alto». Ovviamente, dalla proposta all’attuazione dovrà passare del tempo. Al momento, quindi, chi può vendere regolarmente piante alimurgiche deve per forza appartenere o alla federazione degli erboristi italiani o a quella dei produttori di piante officinali. A rigor di legge, sembrerebbe perciò che nemmeno gli agriturismi possano vendere a terzi le piante raccolte o trasformate, a meno di avvalersi di un consulente autorizzato all’interno.
«La materia è complessa e dai confini poco definiti – conclude Di Renzo – perché al di là degli interessi economici, senza una regolamentazione non vengono considerati anche i valori nutraceutici delle piante sulla persona, i pericoli per la salute e quelli per l’ambite. Senza contare che andrebbero normati e disciplinati anche i punti di raccolta per salvaguardare l’ambiente, i gradi d’inquinamento residui sulle piante e molti altri aspetti che chi raccoglie per pura passione spesso non considera». E forse, una licenza sarebbe auspicabile, anche per combattere il mercato nero.

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