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Tutti i luoghi comuni da sfatare sul sake

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Locandina

Tutti i luoghi comuni da sfatare sul sake

E’ un liquore. Falso, è un vino e come il vino nasce da fermentazione. Si beve solo a fine pasto. Sbagliato, si consuma a tutto pasto. Ha un’alta gradazione alcolica. Non è vero, è tra i 14° e i 16°, quindi appena uno o due gradi in più del vino. Si beve sempre caldo. Per niente, normalmente viene servito a 9° come un vino bianco. E’ per accompagnare i dessert. Solo alcune tipologie, tutti gli altri danno il meglio di sé in abbinamento con il cibo.

Stiamo parlando del sakè e dei luoghi comuni che circolano intorno a questa bevanda giapponese ancora così poco conosciuta in Italia. A sfatare miti e pregiudizi, ci pensa l’associazione Le Vie del Sake che organizza il 20 e 21 settembre a Milano, presso i chiostri dell’Umanitaria (via S. Barnaba 48) il primo Sake Festival. A proposito, un altro falso svelato è che “sakè” si scrive senza accento: sake.

Gli italiani amano il sushi ma bevono poco sake

“Il mercato in Italia per questa bevanda – spiega Marco Massarotto, tra gli organizzatori del Festival e fondatore de La Via del Sake – è ancora incredibilmente piccolo. Al contrario di quanto avviene per altri prodotti culinari giapponesi, come il sushi e la salsa di soia, e la cucina giapponese in generale, che invece hanno un’ampia diffusione”. Stando, infatti, agli ultimi dati rilasciati dalla Camera di Commercio di Milano, nel 2013 il giro d’affari sollevato dal solo sushi in Lombardia si aggirava intorno al miliardo di euro. Mentre per il solo sake, i numeri sono di ben altra grandezza: per la Japan Sake and Shochu Makers Association, nel 2012 sono stati esportati verso l’Italia solo 116.932 litri, contro i 237.686 della Gran Bretagna, 205.664 dell’Olanda e 175.716 della Germania, per restare solo in Europa (i maggiori importatori sono comunque Stati Uniti, Corea e poi Cina). “Questo scarto tra il successo del sushi e la scarsa diffusione di altri prodotti – prosegue Massarotto – è spiegato molto semplicemente: in Lombardia ci sono circa 3-4mila ristoranti. Il problema è che al 95% non sono tenuti da giapponesi: capita così che il patrimonio culturale di un Paese in realtà sia sfruttato da un altro, con la conseguenza di proporre degli stereotipi alimentari e favorire il commercio e la diffusione di prodotti che non provengono dal Giappone”. Per non parlare degli scaffali dei supermercati, dove l’offerta è appiattita su pochi prodotti standard.

Ottimo negli abbinamenti con il cibo

“Del Giappone conosciamo solo il sushi, la salsa di soia, solitamente di qualità scadente, e il wasabi. Invece – illustra Massarotto –, la cucina giapponese è molto ricca e variata e avrebbe un grande potenziale di sviluppo. Tra i prodotti che si dovrebbero scoprire c’è anche il sake, appunto”. Perché, come dicevamo, il sake è un vino da pasto, che in altri Paesi ha conquistato una buona popolarità non solo presso i locali tipici giapponesi, ma sempre più in quelli gourmet di Francia, Gran Bretagna e di altre nazioni dove gli chef lo usano e lo interpretano in cucina. Il sake, infatti, dà il meglio di sé negli abbinamenti con il cibo.

“Il sake ha delle straordinarie capacità di combinazione con gli alimenti – ci svela Massarotto –, forse anche superiori a quelle del vino, da cui si differenzia organoletticamente: il vino viene da un frutto, l’uva, e ha quindi una base dolce-acida: interagisce con il cibo per contrasto. Mentre il sake che tendenzialmente ha come base l’umami (che è la quinto gusto giapponese, ndr), ha una base di dolcezza e sapidità: agisce per complementarietà. E’ più tenue e privo delle punte acide del vino”. Ma soprattutto non è tutto uguale. Ci sono, infatti, i sake più delicati che si accompagnano bene con i pesci, dai crudi ai grigliati, con le verdure, il parmigiano, il prosciutto crudo; i sake più corposi, invece, che stanno bene con le carni grigliate, gli stufati e le zuppe; i sake più rari, come i non filtrati e non pastorizzati, che si prestano ad abbinamenti arditi, come quello con il gorgonzola e i formaggi erborinati; i sake invecchiati che prendono il classico sentore di mandorla e albicocca passita e che si armonizzano con il foie gras e i paté. “Per questo dico – conclude Massarotto – che se entrasse nell’alta gastronomia, allargherebbe il range di possibilità per chi mangia. Non a caso, la cucina giapponese, washoku, è stata riconosciuta come Patrimonio dell’Umanità. Senza contare che i prezzi di del sake per sé non sarebbero nemmeno alti come il vino, aggirandosi tra i 15 e gli 80 euro per una magnum, se non ci fosse il coefficiente dovuto all’importazione. Inoltre, è un prodotto che va bevuto fresco e quindi non subisce le speculazioni dell’invecchiamento”.

Il Milano Sake Festival

Aperto al pubblico e a chi lavora nella ristorazione, il Milano Sake Festival sarà un momento di confronto e approfondimento, per  gettare le basi affinché tra i due Paesi ci possano essere scambi culturali e commerciali più ricchi e profondi. L’obiettivo è quindi quello di attivare il business intorno al sake: in Giappone ci sono circa 1350 produttori che hanno bisogno di allargare i propri orizzonti distributivi, poiché nel mondo la bevanda è ancora poco diffusa, mentre il consumo interno è saturo. Una sorta di vino imprigionato dentro il suo Paese. Ancora tutto da scoprire.

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