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Solo 600 quintali l'anno: ecco la super nicchia di qualità…

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Storie di eccellenza

Solo 600 quintali l'anno: ecco la super nicchia di qualità dell'olio triestino

La coltura dell’oro verde a Trieste ha radici antiche, ma non è stata mai cosa facile. Sono i Fenici a portare gli olivi sulle colline che circondano il golfo più a nord dell’Adriatico. Più avanti arrivano i Romani a produrre olio su queste lingue di terra calcarea, incastonate tra dirupi e doline carsiche, a ridosso della costa. Imparano a sfidare le gelate frequenti e la bora, vento catabatico che soffia spesso sopra i cento chilometri orari. L’attività diventa redditizia e già a quell’epoca ogni podere triestino e istriano possiede un proprio frantoio. Attraverso i secoli l’olivicoltura giuliana conosce momenti di prosperità e sviluppo commerciale, ma anche di arresto. Fiorisce l’attività nell’era veneziana, ma ci vorranno anni di lavoro, tenacia e dedizione, per arrivare ai risultati odierni. E la caparbietà di ricominciare anche da zero, come nel 1929 quando una terribile gelata lascia in vita poche piante e costringe gli agricoltori rimasti in attività a portare le olive alla molitura in altre zone, perché non esisteva più un frantoio oleario in tutto il Friuli Venezia Giulia.

Riconoscimento della Dop dal 2004

Poi, dopo gli anni Settanta, la rinascita grazie ai produttori, sempre alla ricerca costante della qualità più che della quantità. “Qualità e appartenenza territoriale sono i due elementi qualitativi del nostro olio” spiega Elena Parovel, presidente del Comitato promotore della valorizzazione dell’olio extravergine di oliva nella provincia di Trieste. Così, alle tecniche tradizionali negli anni si è saputo affiancare la capacità di sfruttare le innovazioni tecnologiche che ha condotto a rigorose pratiche di controllo dell’intera filiera, dalla coltivazione, alla produzione, alla conservazione dell’extravergine. Uno sforzo che ha permesso di raggiungere nel 2004 la denominazione di origine protetta, il prodotto Tergeste Dop a garanzia di un indiscusso valore ambientale, paesaggistico ed economico. Frutto unico e pregiato dei pastini dell’altipiano carsico è la bianchera, pianta dalle olive grandi e di un verde brillante. E’ una pianta autoctona che sopporta bene il vento, il freddo e le potature energiche. Il suo nome proviene dal fatto che il cambiamento di colore del frutto è tardivo e progressivo, e quasi mai completo neppure a maturazione avanzata, dalla metà di novembre in poi. La raccolta infatti, rigorosamente manuale, si esegue prima dell’arrivo dei freddi d’ autunno. La produzione è elevata, e le rese sono generalmente superiori al 16%.

L’olio ha delle caratteristiche peculiari: un’alta percentuale di acido oleico, un’acidità estremamente bassa ed un elevato contenuto in polifenoli, antiossidanti noti per la loro azione positiva sulla salute umana, che la spremitura a freddo conserva senza alcuna dispersione. “Gli inverni rigidi e le estati calde, tipiche del nostro clima, fanno soffrire l’olivo, che per proteggersi dalle avversità atmosferiche produce più polifenoli, come naturale scudo di protezione” Da un punto di vista organolettico, all’olfatto l’olio risulta fruttato intenso, mentre al gusto presenta una nota caratteristica di amaro e di piccante. La produzione resta di nicchia. I seicento agricoltori che operano nella zona, coltivano complessivamente centoventi ettari di superficie. La resa è di quattromila quintali di olive, circa seicento quintali di olio all’anno. La notorietà e distribuzione degli extravergini travalica i confini nazionali e raggiunge non solo l’Europa – Slovenia, Austria, Germania, Olanda e Belgio – ma anche gli Stati Uniti, la Cina e Taiwan. “I nostri antenati ci hanno indicato già in tempi remoti che la strada per l’olivicoltura passa attraverso la qualità – chiosa Elena Parovel – che qui otteniamo con un lavoro accorto , l’amore per l’olivo per il suo frutto e per il suo succo”. Una qualità che è ancora oggi la migliore garanzia per lo sviluppo futuro della filiera produttiva.

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