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Nelle acque metalliche delle Lofoten, dove è tempo di mattanza

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Nelle acque metalliche delle Lofoten, dove è tempo di mattanza

Il primo italiano a metterci piede fu il nobiluomo veneziano Pietro Querini, naufragato in queste isole seminate oltre il circolo polare artico il 14 gennaio del 1432. Le memorie norvegesi dell’esponente di una famiglia altolocata componente di diritto del maggior consiglio, ruotano attorno alla libertà dei costumi delle donne (“al cospetto nostro si spogliavano quando volevano andare a letto”) e dell’onnipresente merluzzo (“i stocfisi seccano al vento e al sole senza sale, e poiché sono pesci di poca umidità grassa, diventano duri come legno”).

La passione di Querini per il cibo fece il resto. Tornò a Venezia con un bottino di stoccafisso e l’arte di batterlo e cucinarlo si diffuse, con le inevitabili varianti, dalla laguna di Venezia alla Sicilia. Ricette tipicamente italiane (baccalà mantecato e alla vicentina in Veneto, alla ghiotta nell’area attorno allo stretto di Messina) che chiunque visiterà Svolvaer, la capitale delle Lofoten, si prepari a ritrovare pari pari nei menu del ristorante Bacalao, a pochi metri dalla banchina del porto dove dondolano le barche appena rientrate dalle faticose battute di pesca. Ammirando il piatto, sembra di essere stati catapultati 4mila chilometri più a Sud, al ristorante la Mamma di Cittanova, in provincia di Reggio Calabria, uno dei templi calabresi del baccalà.

Stoccafisso alla mediterranea nel porto di Svolvaer

Una colonizzazione al contrario, con gli ingredienti mediterranei – olive verdi, capperi e pomodori – che inondano di profumi domestici questa casetta di legno colorato alla fine del mondo. All’esterno, il vento tagliente del circolo polare artico si mescola con l’odore persistente di una quantità sterminate di stockfish appesi ordinatamente all’aria aperta. Se capitate alle Lofoten nei primi mesi dell’anno, magari con gli occhi all’insù nell’attesa di assistere alle meraviglie dell’aurora borale, sappiate che nessuno si accorgerà di voi. I negozianti, al massimo, vi degneranno di un’occhiata piena di commiserazione: «Cosa ci fa in pieno inverno alle Lofoten?». I turisti da queste parti arrivano in massa solo d’estate. Durante la stagione della pesca l’intera comunità – 24mila anime – più gli immigrati dell’Est Europa che risalgono la Penisola scandinava per svolgere lavori di bassa manovalanza, sono concentrati solo su una cosa: la caccia e la conservazione del merluzzo.

Le teste dei merluzzi andranno in Nigeria

Una mattanza in piena regola: cosi come accade ai tonni rossi che si riproducono nelle acque tiepide fra Trapani, Tunisi e Cagliari, i merluzzi abbandonano le acque gelide del mare di Barents e si dirigono verso le coste norvegesi mitigate dalla corrente del Golfo. Tutti gli isolani, nessuno escluso, sono coinvolti nella pesca. Gli adulti che non pescano per mestiere lo fanno per diletto. Il mare grigio e limpido delle Lofoten ribolle di merluzzi che si tirano in successione anche immergendo in acqua il braccio con un uncino. Enric Sokke, un giornalista olandese da anni alle Lofoten, in una sola giornata, aiutato da un amico, ha pescato 700 chilogrammi di pesce, acquistato all’istante dai buyer per un controvalore di 12mila corone, quasi 1300 euro.

Inevitabile che nei primi tre mesi dell’anno il panorama delle isole sia monopolizzato da enormi rastrelliere di legno con appesi i merluzzi senza testa (le teste, asciugate a parte, vengono vendute per la stragrande maggioranza in Nigeria, secondo importatore del merluzzo delle Lofoten dopo l’Italia, dove si utilizzano per preparare il piatto nazionale) e da gruppi di ragazzini che appena usciti da scuola infilano le teste in un chiodo e tagliano con un colpo secco la lingua del merluzzo, una delle parti più prelibate del pesce nordico che poi finirà sulle tavole dei più esclusivi ristoranti di Oslo e di Bergen. Tutti contenti? In molti allargano le braccia e raccontano della inarrestabile migrazione dei giovani verso Oslo. «La monocultura della pesca arricchisce solo gli armatori. E il turismo non basta a trattenere le persone di talento» sentenzia Kenneth, un oste-pittore con studi di arte a Firenze mentre l’ultimo spicchio di sole si spegne nel mare metallico del circolo polare artico.

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