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Barone Pizzini: fra tre anni il primo spumante vegano

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Vino

Barone Pizzini: fra tre anni il primo spumante vegano

Per i pionieri, a volte, le soddisfazioni vere non sono nei numeri ma nel concetto. Prendete Silvano Brescianini, direttore generale di Barone Pizzini, prima cantina di Franciacorta (e una delle prime in Italia) a scegliere il biologico come dogma. Prima vendemmia 1998, passaggio al bio totale nel 2001 con l’immediata Certficazione europea. Quindici anni dopo (buon compleanno, intanto), su 2.900 ettari dell’area Docg 1.300 sono biologici e tra pochi anni lo saranno tutti. Brescianini potrebbe mostrare le medaglie, invece sorride a un ricordo che per lui vale di più. «Nel 2003, invito un po’ di colleghi a vedere cosa sto facendo: uno tra i più seri e competenti mi dice ‘scusami, ma non mi hai convinto della tua scelta’. Qualche tempo dopo lo incontro in un supermercato di Cortefranca e vedo che ha il carrello pieno di prodotti biologici. Lo faccio notare e lui mi risponde che sono per i bambini. Bravo, e a noi chi pensa? Nel giro di un anno, ha trasformato la sua vecchia azienda in una totalmente biologica». In effetti, fa piacere.

Un passato da restaurant manager

Ma la storia era iniziata ancora prima, con l’approdo al vino per “colpa” del cibo. Franciacortino di Erbusco, classe ‘67, Brescianini esce dall’alberghiero di Iseo e fa il restaurant manager. Arriva a livelli top (Antica Osteria del Ponte, San Domenico a Imola e a New York), tornando a casa nel ’91 per aprire un ristorante nella tenuta di Barone Pizzini. «Sino a quel momento, per me il vino era solo qualcosa da vendere come sommelier oltre che il ricordo del nonno. Un contadino-enologo che aveva intuito in largo anticipo il grande potenziale della nostra terra». La drammatica scomparsa del socio in un incidente stradale, “costringe” Brescianini tre anni dopo a scendere in cantina. «Ero già attento al biologico, ma a metà anni ’90 mi sembrava cosa eccentrica, da ex-sessantottini che fuggivano dalla città. Facevano quasi sempre vini imbevibili ma ora gli va dato il merito di aver aperto una nuova frontiera». L’intuizione vincente per Barone Pizzini arriva però nel ’97, in un seminario sulla sicurezza. «C’era un agronomo che parlando di un prodotto per il trattamento delle viti, consigliava di utilizzarlo fresco perché un anno dopo diventava cancerogeno. Mentre gli altri erano già al buffet, sono stato il solo a chiedergli se non era meglio proprio evitare di usarlo, anche perché sospettavo che non stavamo facendo una buona agricoltura. Lui rispose ‘sì, ma bisogna lavorare sul biologico, non è semplice. Lei se la sente?’. L’ho assunto subito: Pierluigi Donna, un rovatese che per me è uno dei massimi esperti italiani in materia».

Nel 2012 il premio come miglior vino biologico al mondo

Dal pionierismo, guardato di traverso sino ai primi anni 2000 («Ricordo le previsioni di tanti espertoni: faranno tutta uva marcia» dice ridendo) al record di 280mila bottiglie vendute nel 2015, dai primi riconoscimenti sino al trionfo di Londra nel 2012: l’International Wine Challenge proclama il suo Franciacorta Rosé 2008 miglior vino biologico al mondo. Un traguardo costato soldi e fatica, da rivivere davanti a una bottiglia del suo ultimo gioiello, l’Animante: per la cronaca sintesi di anima e amante. «Sicuramente gli investimenti sono importanti, fare biologico costa in media il 20-25% in più della normalità, ma non è questo il problema. Anche tecnicamente non ci sono più punti oscuri: basta prendere un manuale e puoi iniziare domani. Semmai cambia totalmente l’approccio di chi lavora quotidianamente: hai l’obbligo di non sbagliare, perché se sorge un problema sui nostri 47 ettari puoi solo limitarlo ma non risolverlo. Ecco perché dico sempre che il biologico è nella testa». E aggiungiamo noi come visione generale.

Solo soluzioni blioclimatiche

Barone Pizzini ha una suggestiva cantina di 5.600 mq, interrata per due terzi e firmata da Claudio Gasparotti – uno dei soci fondatori dell’azienda – che adotta soluzioni bioclimatiche: pannelli fotovoltaici, sistema naturale di raffrescamento, utilizzo di pietra, legno e fitodepurazione delle acque sono alcuni degli accorgimenti utilizzati. E si curano aspetti considerati marginali come le capsule, le etichette e il packaging che richiede più attenzione delle uve. «Ripeto: il biologico non è una fissazione o un bluff di marketing ma un percorso. E una strada obbligata per Paesi come l’Italia dove sui prodotti agricoli è impossibile lottare con gli altri sul prezzo mentre per la tipicità e la capacità siamo ai massimi livelli. Sul vino dove la tracciabilità fa la differenza nel mondo, il bio è un prerequisito della qualità». Il futuro? «Crescere passo per passo come dovrà essere per la Franciacorta intera (ndr, Brescianini è anche vicepresidente del Consorzio). Ha senso prima raggiungere la piena potenzialità e solo tra qualche anno, se necessario, piantare altre vigne. Ah, fra tre anni intendo fare il primo vino vegano, c’è un mercato e poi bisogna sempre accettare nuove sfide». Cin cin (bio, naturalmente) ai pionieri di ieri, oggi e di domani.

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