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I Cerea, se l'alta cucina è una questione di famiglia

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I Cerea, se l'alta cucina è una questione di famiglia

La famiglia, il ristorante, l’impresa. A rileggere la storia dei Cerea titolari del ristorante “Da Vittorio” a Brusaporto, uno tra gli otto italiani che possono vantare le tre stelle della Michelin, non si può non seguire questo filo logico, questo filo conduttore.

La famiglia: perché attorno a papà Vittorio e mamma Bruna tutto è cominciato, ma tutto continua nel segno di un impegno e di una dedizione totale da parte dei figli.

Il ristorante: perché è proprio quella la pietra angolare di tutta la vicenda. L’impresa: perché sarebbe riduttivo parlare del solo ristorante, che resta il perno principale attorno cui tutto ruota, ma che oggi rappresenta soltanto una parte di quanto la famiglia Cerea è stata in grado di costruire, per una serie di attività che impegnano oltre trecento dipendenti. Francesco, che si occupa della cantina e della ristorazione esterna, ne racconta la storia, una storia che corre di pari passo alla sua.

«Quest’anno festeggeremo i nostri cinquant’anni. I cinquan’anni del ristorante “Da Vittorio” che mio padre aprì a Bergamo proprio nel 1966, ma anche i miei, i miei personalissimi, perché sono nato in quello stesso anno. Lui non è più con noi, dal 2005, ormai, ma è come se ci fosse. La sua presenza è palpabile, forte. Il suo amore ha creato un legame indissolubile tra tutti noi, un legame che ha coinvolto anche chi si è unito successivamente alla nostra famiglia, com’è successo a Paolo e Simone, i miei cognati. Lui ha tracciato la strada, noi abbiamo seguito i suoi passi e stiamo continuando a farlo. Sono certo che sarebbe orgoglioso del nostro lavoro, della nostra impresa in continua crescita».

Quella di Vittorio non è stata una vita particolarmente semplice. 

Affatto. Soprattutto la sua infanzia è stata molto complicata. Ha perso il papà quando aveva solo otto anni e a quell’età è stato costretto a rimboccarsi le maniche, a mettersi a lavorare pur di riuscire a fare in modo che quelli della sua famiglia, avessero di che mangiare. Mi raccontava spesso di quei suoi anni bui, ma mi raccontava anche che proprio in quel periodo difficile ha costruito la sua forza interiore, e si è legato maggiormente alla famiglia che per lui ha sempre rappresentato la cosa più importante che ci potesse essere. A otto anni lavorava per una macelleria. Portava in giro la carne, sgobbava come un mulo, ma imparava a diventar grande, sotto ogni punto di vista. Ha lavorato in alberghi, ristoranti, e proprio grazie a queste esperienze si è innamorato di tutto ciò che riguardava il cibo, fino a quando, con mia madre non decisero di aprire il ristorante: quella decisione ha cambiato la loro vita, ma anche quella di tutti noi.

Cosa vi ha insegnato?

Prima di tutto, a fare squadra. Ci ha fatto comprendere che, restando assieme avremmo ottenuto risultati maggiori della somma delle singole parti. E così è stato. Oggi Enrico (detto Chicco) e Roberto sono straordinari in cucina e con loro c’è anche Paolo, il marito di mia sorella Rossella che è il punto di riferimento indispensabile per tutte le attività che svolgiamo all’interno della nostra struttura. Barbara, invece ha aperto una pasticceria in centro a Bergamo e suo marito Simone è il nostro chef pasticciere.

E cosaltro?

Ci ha insegnato ad essere umili, a stare sempre con i piedi per terra, a curare la relazione con i nostri clienti e a fare in modo che fossero sempre il centro del nostro lavoro. Vengo da un mondo molto pratico, umile, in cui la mia prima battaglia è stata quella di caricare e scaricare furgoni con cui giravo dappertutto insieme ai nostri dipendenti. Ero al liceo, studiavo e vivevo, respiravo ed alimentavo l’aria del nostro ristorante. Papà è stato un rivoluzionario nel nostro settore, è stato il creatore della “ristorazione esterna”. E’ stato il primo forse a crederci tra i Big italiani di allora. Era arciconvinto che il cliente fosse sempre da accontentare. E lui aveva tanti clienti che avevano belle case e spesso gli chiedevano il cuoco, il cameriere, il banchetto per cinquanta, per sessanta persone. Poi hanno cominciato a chiedere di fare in esterna pranzi per matrimoni o per altre cerimonie importanti.

Un catering di alto lignaggio insomma?

A me non piace chiamarlo catering. Io amo l’idea della “ristorazione esterna” perché è proprio quella che vogliamo riproporre. Ci piace pensare di portare a casa dei nostri clienti, o nei posti dove ci chiedono di farlo, prodotti che abbiano la stessa qualità, gli stessi sapori che trovano al nostro ristorante. E’ questa la vera rivoluzione. E per riuscirci c’è bisogno di personale adeguato, materia prima adeguata. C’è bisogno di una qualità che supera addirittura quella che abbiamo tra le mura di casa nostra. Però ce l’abbiamo fatta ed i nostri clienti continuano a premiarci, sono loro i testimoni del nostro successo, sia Da Vittorio, sia quando il ristorante si trasferisce da loro.

Il premio più grande?

Aver cucinato per la Regina Elisabetta. Non scorderò mai quel 19 ottobre del 2000, quando la Regina d’Inghilterra arrivò a Milano. La “ristorazione esterna” quel giorno fu affidata a noi e fu una soddisfazione che superò ogni più rosea aspettativa. Chi lo avrebbe mai pensato, chi lo avrebbe mai soltanto immaginato. Con tanti ristoranti importanti che c’erano allora a Milano, scelsero noi. Non vi dico l’ansia, il timore di sbagliare, soprattutto nel seguire l’etichetta, la paura di non essere all’altezza. Ma andò benissimo. E da lì è cambiato il nostro mondo. Il giorno dopo ricevemmo centinaia di telefonate. Ci cercavano amici, clienti, giornalisti, ci siamo ritrovati sotto i riflettori, riflettori che hanno continuato ad essere spesso accessi sul nostro lavoro.

Ti senti un fortunato?

Quando le cose vanno bene, quando le cose che fai ti portano al successo, un successo anche dal punto di vista economico, non puoi non sentirti fortunato. Ma il successo va rincorso, va cercato e ti sorride solo quando per raggiungerlo sacrifichi la tua vita al lavoro ed alla qualità. Ed oggi il nostro lavoro è sempre più difficile, sempre più complicato. La cultura del Food&Wine sta crescendo notevolmente. E’ un mondo che ci mette tutti i giorni alla prova. Ci mettono alla prova i clienti, lo fa la stampa, lo fanno i critici. E’ per questo che non si smette mai di fare nell’ottica di migliorare ciò che già credevamo di far bene. Si fa più fatica, ma tutto questo è un bene, perché quando sei vincente la gratificazione è più grande.

Nel 2005 unaltra rivoluzione?

In quell’anno ci siamo spostati a Brusaporto, lasciando il ristorante dove avevamo preso le prime due stelle creando la nuova struttura “Da Vittorio Relais & Chateaux”. Dove poi nel 2010 abbiamo preso anche la terza stella grazie a mio fratello Chicco. Lui è il nostro pioniere, il nostro primo ammiraglio. E’ stato quello che ha sempre fornito segni di ispirazione e di una volontà pazzesca nel proporre una cucina che è come lui, una cucina che ha sempre voglia d’imparare a partire da se stessa.

E da allora abbiamo messo in piedi tanti altri progetti. Siamo stati due anni alle Terme di Saturnia dove siamo riusciti a portare una stella Michelin al ristorante. Abbiamo fatto esperienze in Kazakistan, stiamo portando avanti un bel progetto in un resort a Singapore, siamo al quarto anno di consulenza al Carlton  di St. Moritz, ed anche lì abbiamo portato una stella della Guida francese.

Tutto questo è possibile perché siamo una squadra, quella della nostra famiglia e quella dei tanti ragazzi che lavorano con noi. Abbiamo imparato dall’esperienze: quelle negative ci hanno aiutato a crescere, delle positive abbiamo preso il meglio. E’ questa la nostra forza. Finché sapremo alimentarla il nostro futuro sarà sempre degno del passato e di Vittorio, del mio papà.

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