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Fratelli Damini, i macellai con la stella Michelin

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Storie di eccellenza

Fratelli Damini, i macellai con la stella Michelin

La storia di Giampiero Damini e della sua Macelleria & Affini ad Arzignano è una storia che parte da lontano. La sua famiglia si è occupata di carne da sempre, da generazioni. Lui ha respirato gli odori della macelleria fin dalla nascita. Avrebbe potuto esserne nauseato. Invece se n’è innamorato. Da bambino scorrazzava tra i banchi della macelleria che, nel passaggio generazionale, era diventata del papà. La vita scorreva scandita dai ritmi di lavoro. Gli allevamenti, gli animali da accudire e far crescere bene, la macellazione, la vendita, la clientela.

«Siamo la quarta generazione di una famiglia che da quasi 100 anni coltiva la passione per l’antico mestiere del macellaio. La bottega Damini fu aperta dal bisnonno di papà attorno agli anni ’20 a San Giovanni Ilarione. Ed è proprio in questo paesino situato sulle colline veronesi che è iniziata la nostra storia. Ogni settimana i nonni si recavano dai piccoli contadini della zona per “fare visita” agli animali che avevano visto nascere. All’epoca non esisteva ancora una classificazione ufficiale delle razze bovine: l’esperienza, l’intuito e soprattutto lo stretto legame con l’allevatore, portava sempre alla scelta delle bestie migliori. Seguiva poi una lunga contrattazione, che si chiudeva con una stretta di mano particolare, vincolante più di un qualsiasi contratto scritto. Era un patto indissolubile, una garanzia che poi era trasferita direttamente al consumatore, certo di avere a disposizione carne di altissima qualità. C’era solo da lavorare. Non c’era sabato né domenica. E noi eravamo felici così, le cose andavano benissimo e non sembravano esserci nuvole all’orizzonte».

Ed invece, a volte la vita ti presenta un conto diverso da quello che pensavi di dover pagare. La vita, a volte, cambia in un batter di ciglia.

Avevo solo sedici anni quando il mondo ci è crollato addosso, quando tutte le certezze che avevamo si sgretolarono in un attimo. Un incidente d’auto e il mio papà non c’era più. Con lui non se ne andò soltanto un pezzo del nostro cuore. Senza di lui non avevamo più neanche il principale punto di riferimento della nostra attività. Chi avrebbe potuto curare gli allevamenti, i rapporti con i produttori e la macelleria? Io ero poco più che un ragazzino, come mio fratello e mia sorella, più giovani di me qualche anno.

Mia mamma? Era il mio papà che teneva le fila di tutto: lei non avrebbe saputo da dove cominciare. La macelleria faceva volumi importanti, c’erano da gestire i dipendenti, gli acquisti: l’organizzazione capillare di tutta la nostra impresa familiare era costruita sulla figura di papà e lui non c’era più.

Così decise di vendere tutto?

Non c’era altra soluzione. Non avremmo potuto continuare senza di lui. E la   nostra vita cambiò radicalmente. Io però volevo fare il macellaio. Era nel mio dna. Non pensavo ad altro. Era l’unica cosa che sapevo fare, l’unica che volevo fare. Ero innamorato di quel lavoro, lo sono tutt’ora. Da solo, però, non avrei saputo da dove ripartire. Avrei voluto qualcosa di mio, ma non avevo la forza, l’esperienza, l’età per farlo. Volevo farlo anche perché sentivo come, se attraverso di me, attraverso la mia attività, anche il mio papà avrebbe continuato a vivere. Mi si presentò un’ occasione, la colsi al volo. Entrai a lavorare in un supermercato della zona.

Un modo diverso di fare le cose rispetto a quella che era stata la sua esperienza fino ad allora?

Completamente diversa. Prima ero il figlio del proprietario, lì ero diventato uno dei tanti. Dovevi dimostrare quello che sapevi fare. C’era solo un modo: lavorare e far bene le cose che c’erano da fare. La mia preparazione nel settore delle carni era tutta da dimostrare agli occhi di chi mi aveva offerto quell’occasione. A volte penso ai ragazzi d’oggi: in molti di loro manca lo spirito di sacrificio, la mentalità giusta, la voglia di fare le cose per bene.

Fu così fin dal primo giorno?

Il primo giorno al supermercato fu davvero particolare. Mentre tagliavo la carne mi scappò il coltello. Mi ferii all’addome. Mi portarono in ospedale, mi misero dodici punti. Il mio essere un pò cicciottello mi aveva evitato guai più seri. Ma il giorno dopo ero al mio posto. Non stavo morendo. Non tornai al lavoro per far colpo sui proprietari. Era solo una questione di mentalità: potevo lavorare e lo stavo facendo. Con il passar del tempo le cose cambiarono, molte fui io a fare in modo che cambiassero. Cominciai ad organizzare delle attività gastronomiche all’interno del supermercato proprio nell’angolo del banco delle carni. Mi piaceva che tutto funzionasse al meglio. Avevo messo qualche tavolino, dove potersi accomodare e mangiare piccole porzioni di prodotti di qualità. L’avevo immaginato per i mariti che aspettavano le mogli mentre facevano la spesa; divenne un punto d’incontro e di ritrovo importante all’interno del supermercato. Fu un piccolo assaggio di quello che avrei realizzato qualche anno più tardi.

Nonostante al supermercato le cose andassero a meraviglia cera sempre la voglia di creare qualcosa di proprio?

Era il fuoco che covava sotto la cenere. Non avrei potuto tenerlo represso per troppo tempo ancora. Così, ad un certo punto, decisi che quel tempo era arrivato. Avevo voglia di mettere a frutto le mie esperienze, il dna della famiglia e quello che avevo imparato e sperimentato al banco delle carni del supermercato. Cominciai con il mettermi alla ricerca del posto giusto in cui realizzare la mia impresa. Avevo intenzione di affiancare alla macelleria una piccola cucina, volevo che la gente potesse mangiare nello stesso posto in cui comperava i prodotti, volevo testimoniare in ogni modo il livello di qualità di ciò che offrivamo alla clientela.

Qualità. Oggi in molti parlano di qualità.

Molti ne parlano, ma purtroppo nel settore alimentare la qualità non è per molti. Ricordo che quando entrai al supermercato fu proprio questo a colpirmi, la mancanza di attenzione alla qualità dei prodotti, quella che, invece, nella mia famiglia, mi avevano sempre insegnato a considerare come il primo passaggio obbligato nel percorso della nostra impresa. La qualità è un modo di essere, un modo di pensare, di comportarsi, sempre. La qualità è un modo di vivere. Io, come prima i miei bisnonni, i miei nonni, il mio papà, seguo gli allevamenti, seguo gli animali. Li vedo crescere, vedo cosa danno loro da mangiare. Non potrei comportarmi diversamente, non potrei vendere qualcosa che non comprerei per me, che non mangerei personalmente. perché io sono consapevole che buono è sano e se questa è la mia regola, voglio che sia la regola di tutti coloro che mangiano i miei prodotti.

E poi è arrivato Arzignano e addirittura una stella della Michelin.

Ho scelto Arzignano perché, quando ho cominciato è lì che ho trovato il posto che facesse al caso mio. Ho provato in altre città più importanti della zona, ma dovevamo fare anche i conti con le disponibilità, non potevo fare il passo più lungo della gamba. Mio fratello Giorgio mi ha affiancato in quest’impresa e piano piano abbiamo costruito ciò che siamo ora. Ci siamo spostati anche verso il ristorante, ma non abbiamo perso la nostra vocazione di macellai e di venditori di prodotti al banco. Ma cerchiamo e vendiamo solo prodotti di altissima qualità, produzioni esclusive che a volte anche noi facciamo fatica a trovare e scoprire. Ma ci sono, e quando li trovi regalano un mondo di sapori assolutamente diverso a chi li prova.

E la stella della Michelin?

La stella dimostra che il mondo sta cambiando, anche quello della gastronomia. Noi abbiamo dimostrato che si può mangiare con altissima qualità anche lì, dove si può fare la spesa. La stella può essere anche in un panino, in un semplice hamburger, nella libertà da stereotipi che non fanno più parte del mondo di oggi. La stella è nella qualità e la qualità, come dicevo è un modo di esprimere se stessi in tutti gli aspetti della vita.

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