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Trippa, a Milano torna la vera trattoria

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Ristoranti

Trippa, a Milano torna la vera trattoria

A Milano, negli ultimi sei mesi, ci sono state più aperture di locali, grandi e piccini, che giornate di pioggia. Ma l’assuefazione non ha tolto l’attesa per Trippa, trattoria moderna – a noi sembra giusto inquadrarla così – in uno dei quartieri più trendy per il cibo, tra via Muratori e corso Lodi. Foodies, blogger e semplici amici attendevano da mesi che Diego Rossi aprisse il “suo” primo ristorante. Per chi non lo conosce, dietro il baffo alla belle epoque e i tatuaggi, c’è un giovane chef già esperto con passaggi a Venezia da Giovanni Ciresa, poi al St. Hubertus di Norbert Niederkofler, alla Locanda Margon di Alfio Ghezzi, e ancora alle Antiche Contrade di Cuneo con Juri Chiotti.

La cadenza veronese doc di Rossi fa da perfetto contraltare all’inflessione brindisina del socio Pietro Caroli. Uomo che viene dalla blogosfera, dove con la sua compagna Francesca D’Agnano ha dato vita a un seguito blog di coppia, Singerfood & Chiccherie; qui ha assunto le vesti dell’oste – pugliese, come usuale sotto la Madonnina – che si trova benissimo nell’ambiente. Oltre al servizio, Caroli gestisce la piccola cantina – buono il vino biodinamico della casa – e il dopo cena tra un ottimo caffè, redivivi vermuth (meglio come aperitivo, ovviamente) e amari artigianali.

Una quarantina di coperti sono sparsi in un ambiente molto informale, stile anni ’60 come mostrano i quadri appesi: tavoli e sedie semplici, tovagliette, piatti con il bordino blu, bicchieri di vetro spesso. Se diciamo trattoria di una volta, non sbagliamo di certo. Il menu è giocato “sul mercato” per la componente più cara allo chef veneto: trippa, matrice, quinto quarto in genere, lumache, anguilla sono fuori carta ma da prendere a occhi chiusi. Il resto della carta è tutt’altro che banale e denota la mano di Diego. Basta vedere gli antipasti, a cavallo fra tradizione e modernità: baccalà mantecato, tartare di salmerino, insalta d’oca e una (grande) battuta di Fassona – della Macelleria Martini – e nocciole. Poi le minestre (esatto, si chiamano così) dove lo chef gioca su tre-quattro ingredienti al massimo: risotto all’aceto, pepe nero e silene (un’erba spontanea, molto utilizzata nella cucina popolare); spaghetti al tonno, caffè e limone (sorprendenti), zuppa di cicerchie e ortiche. Lo schema è chiaro: ogni giorno, una zuppa, un risotto e una pasta. I secondi seguono il copione: insalata di guancia e peperoni e cipolla di Tropea, polpo arrosto crema di carote e ciliegie, diaframma tarassaco e senape antica. E il pescato del giorno, da interpretare in modo pulito. Più per la passione che per cedere alla moda molto “milanese”, c’è una sezione vegetale di assoluto rilievo con prodotti quali silene, tarassaco, cicerchie e carosello (una cucurbitacea vicina al cetriolo come sapore e consistenza ma più digeribile), scurie (fagiolini lunghi), cipolle di Tropea.

Il carosello torna al dolce in un originale mix di fragole e spuma di yogurt. In carta anche un’ottima crostata di ciliegie e una mousse di ricotta e albicocche. Ripetendo che – come è giusto che sia in’un osteria – il menu varia spesso e il plus è nei fuoricarta, ci sono tutte le carte in regola perché Trippa si ritagli un posto al sole nel “circuito” dei gourmet cittadini: ambiente, qualità, classe dei piatti e un prezzo corretto (due piatti più un dolce, senza vino: 35 euro di media) saranno vincenti nei prossimi mesi.

Credit foto: Paolo Zuf

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