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Gennaro Esposito: passione e sacrificio, per non tradire le nostre…

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Storie di eccellenza

Gennaro Esposito: passione e sacrificio, per non tradire le nostre radici

“Se non ci fosse un fuoco sacro a sostenere la nostra passione non sarebbe possibile fare ciò che facciamo, ogni giorno. Il nostro è un continuo andare avanti, migliorarsi, è un continuo proporre cose nuove, è un continuo ascoltare il cliente, è un continuo ascoltare se stessi. E’ un continuo divertirsi, perché a me piace fare ciò che faccio”.

Gennaro Esposito, chef de La Torre del Saracino a Vico Equense, ristorante che vanta due stelle della prestigiosa guida Michelin, ha le idee chiare. Lui è l’ espressione della sua terra, è espressione tipica di quel Sud che ha dato i natali a grandi uomini, ma che a volte rende più difficile fare sul posto anche le cose più semplici.

“Adoro questa terra. Qui sono nato, cresciuto, qui ho costruito la mia impresa, qui conto di costruire e vivere il mio futuro. Ma questa terra che adoro, a volte, è difficile da vivere e sono sempre di più gli imprenditori, anche del mio stesso settore, che guardano in altre direzioni e pensano di trasferire all’estero le loro attività.
Io ho tanta voglia, passione, curiosità ed energia. Sono una persona ambiziosa, e, perché no, che ama dire la sua. Faccio le cose con grande umiltà e mi impegno sempre per farle benissimo, non bene. Il mondo diventerà sempre più meritocratico e chi fa bene le cose in un mondo così, tende ad emergere.
Ma a volte non basta, dalle nostre parti non sempre questo è vero. L’eccellenza è definita non soltanto da ciò che fai, ma anche dal contesto in cui ti esprimi e qui da noi non si rispetta l’ordine, non si rispettano le regole, c’è mediocrità nelle istituzioni. Eppure, al tempo stesso ci sono persone in gamba, quelle che io definisco “eroi”, perché devono lottare contro tutto e contro tutti per poter emergere, per poter portare avanti la loro idea d’impresa, qualunque sia la loro impresa.
Però io voglio credere che le cose possano cambiare. Sarebbe atroce dover andar via. Noi siamo il posto che viviamo e che continuamente raccontiamo anche con i nostri piatti. Il nostro è un lavoro di osmosi continua con il territorio, con i produttori”.

Ed allora cosa aiuta ad andare avanti, a guardare al futuro con fiducia?

Innanzitutto la passione. Ognuno di noi può fare la propria parte per migliorare le cose. ed io provo a farlo con il mio lavoro.
Perché il mio lavoro chiede tanto ma mi dà tanto. Mi dà la voglia di alzarmi la mattina, anche se la sera prima ho fatto orari assurdi, per tornare dov’ero, per rimettere tutto in moto e per garantire ciò che la gente si aspetta da me. Questo è il tema più importante della cucina: il ricominciare daccapo tutti i giorni. C’è il confronto continuo con i fornitori, con il personale, con le materie prime, con clienti sempre diversi. Ed in tutto questo c’è la necessità di fornire affidabilità e stabilità ai propri prodotti e per farlo bisogna gestire variabili che sono sempre nuove ogni volta.

Ma questo non rischia di essere un peso?

Assolutamente. In realtà tutto questo dinamismo, tutta questa continua trasformazione rappresenta la vera forza del nostro lavoro. C’è sempre movimento, c’è uno studio continuo dei piatti e della ricerca necessaria per ottenerli. Questa è la fortuna, in questo momento storico, della gastronomia italiana, dove abbiamo tanti attori importanti che hanno innovato e che continuano a studiare per regalare emozioni nuove sia a coloro che si avvicinano da protagonisti alla cucina, sia ai clienti che programmano, a volte mesi prima, una cena nei nostri ristoranti, organizzando intorno a quella cena un week-end o una gita fuori porta.

Nella gastronomia italiana però ci sono tante storie diverse, qual è quella di Gennaro Esposito?

Ognuno di noi ha percorsi diversi, congiunture differenti, diverse linee di partenza. Tuttavia se si vuole arrivare c’è un’unica strada: quella della preparazione, della formazione e del sacrificio. Anche i migliori, in ogni campo, quelli che erano accesi dal fuoco sacro della passione per ciò che facevano, non hanno mai smesso di studiare, di allenarsi sul campo, di prepararsi. Pensiamo ai Beatles o ai Rolling Stones. Hanno rivoluzionato la musica mondiale solo con la passione per la stessa?
No di certo.
A leggere le loro storie, le loro biografie, si evince come passassero quasi ventiquattr’ore al giorno a suonare, e questo li rendeva ogni giorno migliori di quello precedente. Io l’ ho capito da ragazzino, quando ho cominciato a lavorare in pasticceria. Lì sono stato attratto dalla manualità dei piccoli gesti quotidiani, sembrano sempre gli stessi, ripetitivi, ed invece, ogni giorno permettono di aggiungere qualcosa di positivo alla nostra esperienza e di migliorare il prodotto che noi forniamo alla nostra clientela.

A proposito qual è il valore che lega uno chef ai propri clienti?

Racchiuderei tutto in una parola: verità.
Tanto per tornare ai miei esordi in pasticceria, ricordo con simpatia il periodo che ho passato a servire la clientela. Spesso, molto giovane, mi ritrovavo a fare caffè, ad impacchettare i dolci, a servire i gelati. Questo mi ha permesso di conoscere il mondo variegato dei clienti, a rispettarlo, a comprenderlo. Ho capito che ci sono persone diverse, con diversi caratteri e diverse aspettative, quelle stesse che dobbiamo nutrire anche oggi con il nostro lavoro. Per questo parlo di verità, proprio perché non si possono applicare sempre gli stessi schemi, bisogna saper raccontare noi stessi attraverso i prodotti che realizziamo.

Questo rapporto vero è traslato anche nei confronti dei collaboratori?

Non potrebbe essere diversamente. Io ho avuto la fortuna di incontrare sulla mia strada un grande come Alain Ducasse. Oltre ad imparare tanto da lui in termini gastronomici, ho compreso il valore della collaborazione e della generosità nei confronti delle persone che lavorano con noi. La squadra è un elemento essenziale, ma ad ogni componente della stessa bisogna dare l’opportunità di crescere, di imparare, di perfezionarsi, di migliorare se stessi continuamente. Prima di Ducasse avevo avuto esperienze in Italia, in cui quando si parlava di cucina c’era sempre un segreto da tener nascosto, ed in alcuni casi, quando si arrivava ad un certo punto della lavorazione, ti mandavano a “comprare del pepe”, come si dice a Napoli. Ho trovato in Ducasse una persona desiderosa di prendere e di dare. Da lui ho compreso come uno chef, debba essere una persona di cultura, ma prima di tutto debba avere cultura nel saper vivere e nel saperlo fare a contatto con gli altri. Il nostro punto di vista va condiviso, va condiviso con i nostri giovani collaboratori, perché tutti si possa crescere assieme. Grazie a queste collaborazioni viviamo un momento ottimo, forse il migliore della nostra storia. Abbiamo aperto un ristorante a Capri “Mammà” per il quale abbiamo meritato una stella e da pochissimo abbiamo aperto anche ad Ibiza, dove si sta creando un movimento fantastico. Insomma, gli sforzi che abbiamo fatto stanno trovando il loro premio, la loro soddisfazione.

E il prodotto che ti rappresenta di più?

Non ho difficoltà a scegliere: il limone…
Lo adoro in maniera ossessiva, perché è un prodotto che ti offre tantissime possibilità. Si possono usare le foglie, la buccia, la parte bianca, il succo. Insomma da un solo semplice prodotto si possono trarre tante soluzioni gastronomiche e per me rappresenta una delle chiavi geniali della cucina italiana.

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