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Anche la Gdo firma la petizione per l'etichetta super-trasparente

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Anche la Gdo firma la petizione per l'etichetta super-trasparente

Più che il packaging conta l’etichetta. Non lasciamoci sedurre dalla confezione, verifichiamo il contenuto. La tecnologia ci supporta con dispositivi innovativi. Ingredienti, additivi alimentari, lettere, numeri e codici, apparentemente indecifrabili, non sono più un mistero. E così tutti i passaggi della filiera, gli abbinamenti, il territorio: le aziende che fanno leva sulla trasparenza e sulla qualità dei propri prodotti, ne raccontano la storia in etichette aggiuntive. “Narranti”, le chiama Slow Food. Ad Expo il “supermercato del futuro” della Coop dà un assaggio di come potrebbe essere.

Le App spiegano le etichette

Siete consumatori responsabili? Evitate le trappole consumistiche? Sapete valutate la convenienza economica di un prodotto e il suo contenuto nutrizionale? Per semplificarvi la vita potete scaricare (gratuitamente) sullo smartphone Edo App. Nata nell’Università di Bologna, con la supervisione di Alessandra Bordoni, medico nutrizionista, l’applicazione fornisce informazioni immediate: basta inquadrare con il telefono il codice a barre del prodotto per attingere a un ricco database che indica quanto sia sano (con un punteggio da 1 a 10), quali siano le sue caratteristiche in base ai parametri personali inseriti, se sia adatto a celiaci o a intolleranti al lattosio. In più elabora una lista di alternative salutiste.

Gratuita anche Food Additives: contiene l’elenco di tutti gli additivi alimentari che si trovano nei principali prodotti in commercio. Coloranti, edulcoranti, conservanti, emulsionanti, antiossidanti, addensanti, stabilizzanti, regolatori di acidità, antiagglomeranti, sono classificati in base ai colori: innocuo-verde, nocivo-rosso, sconsigliato-arancio.

La contro-etichetta narrante di Slow Food

A Expo, in questi giorni, si torna a parlare di etichette narranti, per invitare le aziende agroalimentari a puntare sulla trasparenza e a raccontare il made in Italy. E’ una delle mission di Slow Food, contro targhette e cartellini che spesso «non dicono nulla e nascondono molto». Informazioni sui produttori, sulle varietà orticole e sui territori dove vengono coltivate, sugli animali allevati, sul loro benessere e sulle tecniche di allevamento. Ma anche sul rispetto dell’ambiente e della giustizia sociale.

Storia e cultura locale: un nuovo un approccio olistico al cibo. Perché “la qualità di un prodotto alimentare è innanzitutto una narrazione”, non solo chimica e panel di degustazione. Alce Nero, società di agricoltori biologici, apicoltori e produttori fairtrade, è stata fra i primi ad adottare la formula. Per il riso, la polpa e la passata di pomodoro, il miele e la linea Baby, integra l’ etichetta legale con “una narrazione sistematica e critica” dei prodotti.

La tracciabilità rivoluzionaria di Mario Pianesi

Non si avvale della tecnologia ma l’ “etichetta trasparente pianesiana”, presentata a Expo in questi giorni, è un concetto rivoluzionario. Ideata dal fondatore dei Punti macrobiotici (Upm) Mario Pianesi nel 1980 – presentata in Senato (2003) e più volte al Parlamento europeo – tutela il consumatore, l’ambiente e il commercio, creando un sistema di tracciabilità dettagliatissimo che certifica la provenienza del prodotto e tutte le fasi della sua trasformazione. Dando informazioni anche sull’ impatto ambientale: la quantità di CO2 generata, ad esempio, quella dell’acqua e dell’ energia utilizzate.

A monte l’idea assoluta di un’agricoltura sostenibile: la Policultura Pianesiana si fonda sull’autoproduzione spontanea dei semi e sul recupero di varietà di cereali, ortaggi e legumi, antiche e autoctone, coltivate senza prodotti chimici di sintesi e in rotazione e consociazione con erbe spontanee, cespugli, alberi. Studi scientifici hanno dimostrato che le filiere agroalimentari di Pianesi riducono di oltre il 90% il consumo di risorse ambientali. L’etichetta trasparente sarà adottata da alcuni comuni marchigiani della provincia di Pesaro Urbino per tutte le produzioni realizzate in quei territori.

Il nodo del nuovo regolamento europeo

Le nuove norme fissate dall’Ue (ingredienti, tabelle nutrizionali, scritte leggibili e chiare, scadenze e allergeni), in vigore da qualche mese, invece, continuano a sollevare forti perplessità e ad alimentare polemiche. «La legislazione europea in tema di etichette dei prodotti alimentari è una sinfonia incompleta», secondo Ilaria Passarani, responsabile del settore cibo e salute dell’Organizzazione Europea dei Consumatori. Il punto più critico del regolamento 1169/2011 è che non è più obbligatorio, ai fini della tracciabilità, riportare sull’etichetta l’indirizzo dello stabilimento di produzione (in Italia prima lo era, D. Lgs 109/92): è sufficiente l’apposizione del marchio sul prodotto che identifica il responsabile legale di ciò che si vende. Ma chi produce e dove viene prodotto il cibo che mangiamo? Per l’Europa non è una comunicazione indispensabile.

Una petizione a tutela del Made in Italy

Raffaele Brogna, esperto di marketing e comunicazione, ha deciso di opporsi a quanto stabilito dall’Ue, lanciando la petizione “Nessuno tocchi l’indicazione dello stabilimento di produzione”.

Per lui la questione non è solo strettamente alimentare: il problema è anche la tutela del made in Italy, l’industria, i grandi marchi (private label) e i piccoli brand. Tutto è cominciato con il blog Ioleggol’etichetta (100mila gli iscritti alla community). Oggi Brogna educa consumatori e studenti all’acquisto consapevole. Fra i suoi progetti anche l’ archivio unico delle etichette digitali. E sul suo sito presto insegnerà ai consumatori stranieri a riconoscere i prodotti italiani all’estero leggendo le etichette.

Stabilimenti fantasma nelle norme Ue

Ventinovemila firmatari chiedono che sulle confezioni torni a essere indicato l’indirizzo della sede della fabbrica in cui vengono elaborate le materie prime, informazione fondamentale per risalire al luogo in cui si svolge effettivamente la produzione. E salvare il Made in Italy anche dalla truffa dell’italian sounding. «Una multinazionale può comprare un marchio italiano e spostare la produzione in un qualsiasi paese dell’Unione. Anche altrove, senza che venga specificato. Basta che gli uffici di rappresentanza siano sul territorio nazionale», spiega Brogna. Secondo il nuovo regolamento, è obbligatorio citare lo stabilimento (dal 13 dicembre 2016) solo per la produzione di latticini e carne, ma si tratta di un codice numerico che non riuscirà certo a orientare le scelte dei consumatori.

Le firme della grande distribuzione

Tra le firme raccolte sul blog contro le etichette silenziate dell’Ue, anche quelle della grande distribuzione : da Coop a Conad, Eurospin, Auchan, Simply (hanno preso l’impegno anche Esselunga e Carrefour). Le altre sono le firme di quelle aziende che per il proprio business fanno leva sulla trasparenza e sul made in Italy e che continuano a riportare l’indirizzo degli stabilimenti di produzione: da Granarolo a Callipo, a Cantine Cerquetta a Conserve Asdomar. Molte multinazionali invece hanno prontamente eliminato l’ informazione. Più difficile così garantire gli standard di qualità, favorire il lavoro in Italia, valorizzare il km 0 e la filiera corta.

Conad contro l’agropirateria

Netta la posizione dell’ad di Conad Francesco Pugliese che si dichiara contrario al nuovo regolamento di etichettatura Ue. E annuncia: «Avvieremo una raccolta di firme per il ripristino dell’obbligatorietà dell’indicazione dello stabilimento di produzione sull’etichetta dei prodotti alimentari. Ciò al fine di salvaguardare l’eccellenza delle produzioni tipicamente italiane e per garantire ai consumatori una corretta informazione». Altrimenti si rischia di «delocalizzare l’eccellenza agroalimentare regionale italiana e di far perdere valore al made in Italy, dando spazio all’agropirateria internazionale che già sta causando gravi problemi alla nostra economia».

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