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Vino

Amarone, "famiglie" all'attacco: il Consorzio pensi a tutelarci meglio all'estero

«Se in giro per l’Italia nascono associazioni tra aziende viticole che si propongono di tutelare una o più etichette di vino prodotte, evidentemente qualche problema ci deve pur essere». Non le manda a dire Marilisa Allegrini, titolare dell’omonima griffe dell’Amarone e presidente dell’Associazione delle Famiglie dell’Amarone d’Arte. Un mini-consorzio di 12 aziende produttrici di Amarone (Allegrini, Begali, Brigaldara, Guerrieri Rizzardi, Masi, Musella, Speri, e Tedeschi , Tommasi, Tenuta Sant’Antonio, Venturini e Zenato) che nei giorni scorsi è finita in rotta di collisione con il Consorzio di tutela della Valpolicella (che tra le denominazioni tutelate annovera anche la Docg dell’Amarone) e che ha intrapreso ben due distinte azioni legali (una in Italia e una seconda a livello comunitario) contro l’Associazione delle Famiglie dell’Amarone d’Arte colpevoli di riferirsi nella propria dicitura (nonché nell’ologramma “A” riportato sulle bottiglie) all’Amarone, ovvero una denominazione tutelata. Il che è appunto vietato dai disciplinari di produzione e dalle regole sui vini Doc. Uno scontro tra l’altro accompagnato anche dalla decisione di altre otto cantine (oltre ai brand Allegrini, Masi, Musella e Tedeschi che già ne erano fuoriusciti) di abbandonare il Consorzio di tutela della Valpolicella.
Nell’attuale sistema delle Doc c’è un deficit di tutela

«I Consorzi di tutela – spiega la Allegrini (nei giorni scorsi sotto i riflettori anche per il possibile rafforzamento della propria cantina, con nuove acquisizioni, nell’area di Montalcino) – si chiedano come mai in Italia siano nate e continuino a nascere associazioni tra imprese per la difesa delle denominazioni. Evidentemente non sono più tanti coloro che sono contenti di come vengano tutelate le denominazioni italiane dagli organismi che dovrebbero avere il proprio core business proprio nella tutela». Pur chiarendo più volte di voler «parlare il meno possibile» nelle parole del presidente dell’Associazione non manca qualche stoccata. «Innanzitutto voglio chiarire un aspetto – aggiunge la Allegrini – alle carte bollate ci siamo arrivati ma non certo per iniziativa nostra. È il consorzio che ci ha attaccato costringendoci adesso a organizzare una difesa legale . Per questo voglio parlare il meno possibile proprio per evitare di fare dichiarazioni che spesso finiscono per essere interpretate e anche comprese con sensi diversi da quelli che si voleva invece sottolineare. Inoltre la mia cautela è legata al fatto che come presidente dell’Associazione sento anche la responsabilità di parlare anche a nome degli altri».

Nessun ritiro dell’ologramma “A”

Tra le voci circolate in questi giorni appena si è appresa la notizia delle cause legali intentate dal Consorzio contro l’Associazione c’è quella del ritiro da parte delle Famiglie dell’ologramma con la “A” di Amarone dalle proprie bottiglie. Ovvero un ritiro del marchio distintivo che molti leggevano in molteplici maniere. «Semplicemente la voce del ritiro dell’ologramma – dice ancora la presidente dell’Associazione – non corrisponde al vero». Insomma sta per finire davanti a uno (o più) tribunali una querelle nata proprio su un aspetto di tutela. «Le Famiglie dell’Amarone – aggiunge la Allegrini – sono nate perché non ci sentivamo e sentiamo tutelati dal Consorzio. La chiave del discorso sta qui. Il resto lo vedremo. D’altro canto se in giro per l’Italia stanno nascendo varie associazioni collaterali agli organismi di tutela un motivo ci sarà. Questa è una riflessione che a mio avviso dovrebbe essere fatta anche a livello istituzionale. E non mi sembra campata in aria perché vediamo che il Consorzio attacca noi ma poi non fa nulla contro chi in Texas produce un vino e lo chiama Amarone o contro una denominazione spuntata in Svezia dal nome “ripassone” e che quindi si rifà a un’altra denominazione della Valpolicella che dovrebbe essere tutelata. Insomma il vino italiano va difeso in modo diverso da come sta avvenendo»

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