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VKA, la vodka sostenibile toscana che piace in America

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Storie di eccellenza

VKA, la vodka sostenibile toscana che piace in America

Luca Pecorini è un imprenditore atipico: per anni cuoco, poi ristoratore, poi attivo nel settore edile, oggi è un lucido visionario che ha fatto nascere un progetto assolutamente innovativo in Toscana come la produzione di vodka. Difficile pensare ad investire ad un settore come quello dei superalcolici in Italia, in questo momento: la grappa rimane il prodotto più conosciuto, per il resto si fa affidamento a liquori e distillati prodotti altrove.

Ingredienti rigorosamente locali

Nel 2013 Luca dà vita al progetto denominato VKA, la vodka che ha al centro la Toscana, grazie al grano biologico  toscano e l’acqua dell’Appennino mugellano, due elementi che caratterizzano fin dalla nascita il prodotto. L’idea, insieme ad altri imprenditori è quella di restituire  alla terra l’essenza della fertilità tornando a valutare in termini positivi la scelta di ingredienti di qualità. «Pensavo a come la produzione di grano nel Mugello sia limitata rispetto ad altre regioni europee: 25-30 quintali ad ettaro rispetto ai 100 ottenuti con azotamento e chimica spietati – racconta Luca -. Pensavo che la qualità di grano ottenuta in loco fosse alta ma che nessuno intendeva investire sui terreni, che si preferiva lasciare incolti. Quindi bisognava far ripartire un circolo virtuoso nel quale i terreni adatti valesse la pena rimetterli in produzione, ed il contadino potesse avere così il giusto reddito da questa lavorazione».

Una sede aperta al pubblico

Decide così di impostare il lavoro di fornitura applicando le stesse regole legate alla produzione di uve: quelle migliori devono essere pagate di più, e negli anni nei quali la resa è bassa, si incentiva il contadino garantendo comunque un reddito minimo.  Il radicamento in Toscana – acqua, grano e anche le bottiglie –  è stato un “must” legato all’idea che un distillato così banalizzato e diffuso al mondo,  per i più diversi motivi,  dovesse avere invece un’identità precisa, nella quale la qualità organolettica potesse avere un ruolo fondamentale: da qui la scelta di creare una vera e propria casa madre visitabile, una sede non solo istituzionale ma reale, un po’ come succede per chi produce vino.

Il 90% delle vendite all’estero

Nella lavorazione di VKA, acronimo che stilizzato sulla bottiglia va a significare equilibrio perfetto tra la terra e i suoi elementi ,  una grande importanza è stata data all’impianto ambientale e quindi, solo grano biologico e tutti i sottoprodotti ottenuti dalla lavorazione , come amido, glutine e proteine, venduti  all’industria conserviera, farmaceutica ed alimentare, per evitare la produzione di scarti da smaltire. Nel primo anno di uscita ufficiale sono state prodotte 350.000 bottiglie, con una crescita regolare, che vedrà già al secondo anno una produzione di 700.000. Il fatturato previsto si assesta quindi sugli 8 milioni di euro Il 90% del fatturato sarà fatto all’estero con gli Stati Uniti, il Giappone e l’Inghilterra quali partners privilegiati ma già un discreto successo VKA lo sta ottenendo all’interno dei Duty Free aereoportuali.

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