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I nuovi barman-alchimisti: ecco gli indirizzi giusti

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I nuovi barman-alchimisti: ecco gli indirizzi giusti

Se vuoi essere alla moda, bevi “firmato”. Non è la trovata pubblicitaria di qualche multinazionale del beverage, ma l’ultima tendenza in fatto di cocktail. Finita l’era degli spirits di massa miscelati con sciroppi e bibite gasate, oggi il trend si sposta sulla purezza e naturalità degli ingredienti, prendendo le mosse dalla cucina molecolare di Ferran Adrià e su ricette uniche ideate dai grandi mixologist.
Una ricerca di esclusività assoluta che spinge i locali più famosi al mondo addirittura a farsi creare linee dedicate di superalcolici dalle aziende o ad allestire laboratori attigui al bar per produrseli da soli.

“E’ come se si fosse tornati agli Anni ’50 e ’60, quando ogni barista era famoso per le proprie ricette, di cui era giustamente geloso. Anche i grandi hotel internazionali, dal Bulgari all’Oriental, stanno riprendendo la tradizione del bere bene e ricercato. Siamo nell’era dei ‘signature cocktail’ e dei mix homemade, ma arricchiti dalle conoscenze ed evoluzioni offerte dai tempi moderni”, spiega Franco “Tuccio” Ponti, mixologist milanese proprietario dell’Atomic Bar e consulente per le aziende Vermouth Carpano e Talisker.

Non solo ricerca di ricette esclusive, ma ingredienti esclusivi

E’ il caso dei Vermouth del Professore, ideati da Carlo Quaglia, storico distillatore piemontese, e Federico Ricatto, noto chef, per i ragazzi del “Jerry Thomas Speakeasy” di Roma, tra i più celebri locali al mondo. La cui preparazione prevede vino moscato delle Langhe e infusione in alcol di quindici erbe e spezie. Oppure dei whisky e dei bitter del “The Dead Rabbit” di New York, prodotti in esclusiva da distillatori irlandesi con ricette del 1800, per quello che è considerato il secondo cocktail bar planetario.

“Si assiste così anche a un ritorno alle origini e alle radici – illustra Ponti -. Ovvero quello che ha rappresentato lo stesso Jerry Thomas, storico barista statunitense vissuto nella seconda metà dell’800, la golden age del cocktail fino ai primi del ‘900. Che significa, però, anche la riscoperta dei bitter, di certi tipi di gin e di tutti gli ingredienti naturali e premium”. Con un tocco global: infusi di fiori ed erbe fresche e impiego di spezie, ma seguendo la scuola giapponese del mizuwari, ossia il modo asiatico di bere gli spirits, dosando acqua calda, ghiaccio e whisky. Solo che l’acqua è aromatizzata con accostamenti inusuali (pepe, Chai tea, mandarino cinese, piante profumate…).

Sulle orme di Adrià

Ricerca di sperimentazione e personalizzazione, che non può prescindere dalle influenze di Dario Comini, bartender e consulente delle maggiori case liquoristiche, nonché capostipite dei molecular bar, nati dall’accostamento della mixology alla filosofia molecolare di Ferran Adrià: infusioni con l’azoto liquido, disidratazione dell’assenzio, sferificazione delle molecole, in un continuo gioco di rimandi e contaminazioni con la cucina (per la base scientifica, chimica e fisica) e con la pasticceria (per la conoscenza degli zuccheri).
“Di tutta questa voglia di sperimentare e creare in esclusiva – sostiene Ponti –, la tendenza più divertente del momento è avere un proprio laboratorio dove testare estrazioni, distillazioni, preparazioni”. Ovviamente, una moda che da Brooklyn (dove si trovano addirittura i distillatori di quartiere) ha preso piede anche in Italia. Lo stesso “Nottingham Forest” di Dario Comini, “Al Mercato”, il “1930” a Milano, il “Jerry Thomas” a Roma, lo “Smile Tree” di Dennis Zoppi a Torino vantano un proprio laboratorio sperimentale.
“Siamo i nuovi alchimisti – conclude Ponti –, l’evoluzione di tutti quei personaggi da Far West, a metà strada tra cialtroni e uomini di medicina, ma al servizio del palato e del piacere dello spirito”.

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