Food24

Dop in affanno e produzione in calo del 38%: tutta colpa del…

  • Abbonati
  • Accedi
Storie di eccellenza

Dop in affanno e produzione in calo del 38%: tutta colpa del "culatello sounding"?

La “Ferrari” dei salumi italiani è in crisi (come la mitica Rossa del resto). Ma qui la colpa non è di progettisti, ingegneri e meccanici, quanto dei tanti produttori che hanno infilato la parola “culatello” su decine di salumi, che con questo capolavoro della Bassa parmense hanno ben poco a che spartire. Salame, lardo, culatta, pepita, strolghino di culatello e persino una versione spalmabile in vasetto: tutti prodotti, talvolta con una certa dignità, ottenuti dagli stessi tagli suini del culatello, ma con lavorazioni diverse. E comunque molto distanti dal “vero” culatello, realizzato solo con la parte più nobile della coscia del suino pesante, lavorata a mano esclusivamente nel periodo invernale e fatta stagionare per almeno 10 mesi all’aria umida delle rive del Po.
Il fenomeno – già definito “culatello sounding” – è ampio e sta provocando gravi ripercussioni sui produttori “originali”: i 21 che aderiscono al Consorzio del Culatello di Zibello Dop hanno prodotto nel 2013 solo 48.000 pezzi. Ossia il 38,4% in meno rispetto ai 78.000 pezzi del 2011. Non solo la produzione è drasticamente calata, tornando ai livelli storici, ma anche il termine “culatello”, rimasto per decenni una garanzia di qualità assoluta, sta rischiando di svilirsi e trasformarsi in uno “specchietto per le allodole” come ha affermato lo stesso Tito Tortini, presidente del Consorzio di tutela che si trova ora a fronteggiare una situazione di crisi determinata da un eccesso di successo e di notorietà.

Gli effetti della “democrattizzazione”

La democratizzazione del culatello, che nell’arco di un decennio da delizia per pochi si è fatto prodotto tipico per molti (lo conoscono ben 44 italiani su 100), non ha portato i risultati e le opportunità sperati, anzi ha creato tensioni e discontinuità. Alla prova dei fatti l’espansione della produzione e l’autorizzazione a timbrare come Dop anche quello preaffettato non hanno ampliato il mercato, nonostante le ottimistiche aspettative dei produttori. Dall’altro la crisi si è fatta sentire anche sul culatello, impattando in modo pesante su quel 30% di vendite concentrate nel periodo natalizio, mentre l’export resta fermo al 3-4% dei volumi e richiede un lungo lavoro per far conoscere, capire e apprezzare questo prodotto.

Nei panini in autostrada

Intanto in Italia lo sbarco del culatello nel mass market (dai panini negli Autogrill alle vaschette nei discount Lidl) e il boom dei prodotti “simil-culatello” venduti a prezzi inferiori anche della metà rispetto al Dop hanno inferto un duro colpo al mito (abilmente alimentato) del culatello tradizionale. “Così si confonde il consumatore e si dà un’errata percezione di qualità. Per questo abbiamo chiesto al Mipaaf un decreto ad hoc che possa arginare questo fenomeno – – spiega il vicepresidente del consorzio di tutela, Marco Pizzigoni – Vogliamo evitare che possa essere banalizzato un prodotto dalle caratteristiche uniche, che conserva un enorme potenziale evocativo per la sua tradizione, la sua storia e i luoghi che l’hanno visto nascere”.

Ma la strada del Culatello aiuta il turismo

Difatti, in questa bagarre, chi ci sta indubbiamente guadagnando è il terroir. Il culatello è diventato una straordinaria “macchina da guerra”, capace di attirare nella Bassa parmense schiere di gastronauti e di alimentare il business della ristorazione e dell’ospitalità, dando nuovo appeal a una zona che non aveva la vocazione turistica nel suo Dna e che invece oggi ha costruito una Strada del culatello e creato una manifestazione, il November Porc, che l’anno scorso ha registrato ben oltre 90.000 presenze.

© Riproduzione riservata