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Chiusa, un po' provinciale, autocelebrativa: ad App.etite…

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Chiusa, un po' provinciale, autocelebrativa: ad App.etite in un confronto senza sconti la community che racconta il food italiano

Partiamo dalla fine, ovvero dall’applauso commosso che lo chef Massimo Bottura – ospite a sorpresa della seconda e ultima giornata di lavori – ha voluto dedicare a Stefano Bonilli, il fondatore del Gambero Rosso e di Gazzetta Gastronomica, recentemente scomparso. È grazie alla sua idea e visione se lo scorso sabato e domenica, presso la Bologna Business School a Villa Guastavillani, molti protagonisti della comunicazione italiana si sono dati appuntamento al convegno App.etite (nel 2008 sempre qui si tenne un meeting dal titolo “Gli attori della cucina italiana”) per ragionare su enogastronomia e crossmedialità, sotto la supervisione del padrone di casa Max Bergami – Dean della scuola – e coordinati da Elisia Menduni di Gazzetta Gastronomica, Marco Bolasco di Giunti e Slow Food, Roberto Grandi, direttore del Master in Marketing e Ludovica Leone, direttrice del Master in Business Administration Food and Wine.

Imparare dalle esperienze estere

Non certamente gli “stati generali” – come si è affrettato qualcuno a chiamarli – ma un primo, importante tentativo di portare sul palco un’analisi, a più voci e da molti punti di vista, sui profondi cambiamenti che stanno agitando il settore: presenti i casi editoriali Agrodolce e Dissapore, raccontati rispettivamente da Lorenza Fumelli e Massimo Bernardi, intervistato da Antonio Scuteri di Repubblica e costretto a smentire (in modo non così convincente) le voci su una possibile acquisizione della sua creatura da parte di un grande gruppo; c’era Andrea Gori a rappresentare il vino in formato digitale, Andrea Petrini e il suo “io non ci amo” di autocritica e Gabriele Zanatta per Identità Golose, che ha tracciato l’evoluzione dei congressi culinari e ha ricordato l’urgenza di stabilire delle pietre miliari della storia della cucina per poi poter scrivere il futuro della stessa; Ryan King di Fine Dining Lovers ha delineato un lucido e utile quadro su come migliorare il racconto e come evolversi al passo con l’evoluzione di lettori disattenti (il tempo di attenzione spesso non supera i sei secondi): serve trasmettere storie utilizzando video e canali come Vine e incorporare nuove tecnologie e applicazioni, da Raccontr (la piattaforma interattiva di storytelling di Vimeo) a Exposure (tool per creare fotoracconti) a Storify (strumento che consente di raccontare una storia utilizzando al meglio i social media).
Eleonora Cozzella dell’Espresso ha rilevato la cronica incapacità italiana di promuovere sui canali digitali il proprio patrimonio agroalimentare e turistico (drammaticamente emblematico il caso Italia.it) e l’abisso che ormai ci divide da altri paesi molto più capaci di sfruttare le potenzialità della rete.

Un confine meno labile tra Pr e giornalismo

Il direttore delle guide dell’Espresso Enzo Vizzari ha ribadito la necessità di stabilire chiaramenti i ruoli (chi fa Pr può fare allo stesso tempo il giornalista?) e di riconoscere la qualità e la competenza di un critico rispetto a chi crea contenuti solo secondo le logiche di traffico. Antonio Tombolini, nel suo vivace intervento di sabato mattina, aveva invece sostenuto la necessità di investire con più coraggio su nuove forme di pubblicità che non siano solo la modalità display e l’importanza di creare una convergenza tra magazine e e-commerce capace di essere più vicina all’utente (parlare di un prodotto per poi dare la possibilità di comprarlo online).

Nuove forme di pubblicità?

Anche perché il tema della raccolta pubblicitaria è davvero urgente: lo stesso Bolasco ha mostrato come quella di Slow Food si sia oggi ridotta a un quinto del milione di euro di soli quattro anni fa. Per una prossima edizione del festival sarebbe interessante coinvolgere anche i centri media, i concessionari di pubblicità e i possibili investitori per avere un quadro davvero completo su quali siano le azioni più efficaci a disposizione degli editori.

Il linguaggio televisivo: MasterChef diventa Batman

La seconda giornata si è concentrata sul linguaggio televisivo: in platea si sono scaldati gli animi di molti – tra cui lo stesso Bottura – davanti a uno scenario in cui gli schiamazzi e la visione “infernale” della cucina proposta dai vari Hell’s Kitchen e MasterChef (che i dati ci indicano come il programma più seguito nella storia del satellite) sembrino ormai l’unico linguaggio possibile. Molto interessante e innovativo, in ogni caso, lo speech di Fabrizio Ievolella di Magnolia sul tema degli archetipi utilizzati nei format sul cibo, simili a quelli del mondo supereroistico (MasterChef diventa Batman e Bake Off Italia è invece Superman), e sulle quattro leve del racconto che fanno presa sul pubblico: identità, aspirazione, libertà e mobilità.

Quello che però non ha detto – brava Elisia Menduni a incalzarlo – è che la televisione dovrebbe iniziare a riconoscere ufficialmente l’expertise di chi si occupa di cibo e non limitarsi a “scippare” consigli e informazioni in modo informale. Intanto Sergio Del Prete di Discovery Channel Italia ha svelato il nuovo format “La Tavola di Mosè” con protagonista Simonetta Agnello Hornby, in cui lo storytelling lascerà (forse) spazio a un maggior approfondimento e a un linguaggio del cibo più autentico.

Una comunità troppo chiusa

In generale, la fotografia scattata durante la due giorni – oltre ad alcuni eccessi autocelebrativi e onanistici – è quella di una comunità ancora giovane e molto chiusa al mondo esterno che nella maggior parte dei casi si parla addosso, non guarda fuori dal proprio orticello con ingiustificato snobismo e ancora rincorre il mito della qualità dimenticandosi però di mostrare numeri veri e dati concreti su cui ragionare (puoi fare il miglior prodotto del mondo ma serve poi un pubblico che lo legga e una sostenibilità economica). Bisogna creare connessioni con altri settori di eccellenza del made in Italy – più esperti e capaci di offrire dei modelli imprenditoriali e di comunicazione che possono essere applicati con successo anche nel mondo F&B – come quello della moda e dei motori, ad esempio: utile la presenza di Patrizia Cianetti di Ducati che ha mostrato le modalità di comunicazione emozionale con la loro community di bikers.

Come ha commentato Massimo Russo, direttore di Wired Italia, “spesso le aziende italiane non usano piattaforme internazionali e la conseguenza è che siano poi le grandi corporation mondiali ad occupare preziose posizioni anche nel settore enogastronomico, dove dovrebbe invece essere il nostro paese a dettar legge”. Verissimo, come è vero che sono pochi i prodotti editoriali italiani che parlano anche in lingua inglese e che hanno dunque l’ambizione di aprirsi a un audience ben più ampio e “monetizzabile”. Ecco allora il paradosso realistico: in vista dell’Expo, a raccontare al mondo il nostro patrimonio agroalimentare, culinario e turistico saranno editori e società straniere più di quanto, purtroppo, saremo in grado di fare noi.

Photo credit: Elisia Menduni

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