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Dove è stato inventato il cono gelato? In America, da un italiano

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Dove è stato inventato il cono gelato? In America, da un italiano

Del gelato sappiamo quasi tutto. Gli arabi portano in Sicilia il “sharbat” fatto con la neve dell’Etna e delle Madonie; il nome viene italianizzato in “sorbetto” e nel 1694 il marchigiano Antonio Latini, già chef del viceré di Napoli, pubblica nel suo “Scalco alla moderna” la prima ricetta conosciuta del sorbetto al latte: «Per fare altra sorbetta di latte, che prima sia stato cotto, ci vorrà di dosa una caraffa e mezza di latte, mezza d’acqua, tre libbre di zucchero, once sei di cedronata o cocuzza trita», oltre a neve e sale. Il sorbetto comincia in questo modo a trasformarsi in gelato e il palermitano Procopio Cutò, che in Francia diventa per assonanza “couteau” e quindi Procopio de’ Coltelli, nel 1686 apre a Parigi il Café Procope (esiste ancora, oggi è un elegante ristorante) dove mette a punto il sistema della mantecatura. Seppur meccanizzato e industrializzato, questo procedimento rimane alla base del gelato che si produce anche ai nostri giorni.

Il brevetto del cono

Meno noto, invece, è come si sia arrivati al cono gelato. Ma anche in questo caso ha giocato un ruolo fondamentale l’inventiva italiana. Il primo a brevettarlo, negli Stati Uniti, è stato Italo Marchioni, nato a Peajo di Vodo di Cadore, in provincia di Belluno, il 21 dicembre 1868 (l’atto di nascita è conservato negli archivi municipali). Questi, dopo esser passato per Jesi, nelle Marche, emigra in America, come numerosissimi altri gelatai e pasticceri delle Dolomiti. Il Cadore, e in particolar modo la val di Zoldo, affiancano la Sicilia come patria del gelato: tutti i vari Eis Venezia, Eis Rialto e nomi del genere che punteggiano le città della Germania hanno alle spalle un gelataio originario delle Dolomiti.

Contenitori di latta e porcellana

Il cono ancora non esiste e i gelati vengono consumati in contenitori da riutilizzare, soprattutto bicchieri di vetro. In Austria e in Germania ci si portava il bicchiere da casa, alcuni provavano a ottenere porzioni maggiorate presentandosi con un bel boccale da birra. I ricchi avevano le loro belle coppette da gelato in porcellana, ma la maggior parte dei consumatori doveva accontentarsi delle stoviglie (coppe, spesso anche piatti fondi) fornite dai gelatai stessi. Questi dovevano poi occuparsi di lavarle e sostituire quelle rotte, con un notevole aggravio di tempo e denaro. I gelatai, nella stragrande maggioranza dei casi, erano ambulanti che usavano un carrettino refrigerato per portare in giro il prodotto e la scorta di stoviglie pesava e occupava parecchio posto. I clienti, da parte loro, non potevano allontanarsi più di tanto dall’ambulante perché dovevano restituirgli il contenitore. L’esigenza di utilizzare qualcosa di più comodo e trasportabile si fa sentire da subito. In Francia si usano coni di metallo o di carta, in Austria si mette il gelato su un cartone quadrato di una decina di centimetri (tra l’altro i viennesi sono i primi ad aggiungere uno sbuffo di panna montata sopra il gelato), una gelateria di Vicenza utilizza grandi foglie di vite opportunamente raccolte e lavate per tale uso. Ma niente di tutto questo è commestibile.

La disputa con siriani e turchi

I  primi a pensare a un contenitore che si possa mangiare sono i gelatai d’oltre oceano. Un anno prima di Marchioni, un altro gelataio cadorino, Antonio Valvona, brevetta negli Usa un apparato per fare coppette da gelato mangiabili (nel documento è indicato come originario di Manchester, Inghilterra, perché da lì era immigrato). Marchioni e Valvona probabilmente si conoscevano e avevano lavorato assieme, comunque sarà Mr Marchiony a diventare il papà del cono gelato. Come accennato, si tratta però di una paternità contesa, infatti qualcosa d’importante dev’essere successo nel 1904 alla fiera di Saint Louis, nel Missouri. Qui sono in diversi a disputarsi l’alloro dell’inventore del cono gelato. Interessante notare che sono quasi tutti mediorientali (siriani, libanesi, turchi) e agli occhi di un americano di inizio Novecento tra italiani e siriani la differenza non doveva essere così evidente.

In ogni caso ci sono due piste siriane, con variante libanese, e una pista turca. Prima pista siriana: Ernest A. Hamwi, immigrato per l’appunto dalla Siria, gestisce alla fiera un chioschetto per fare zalabia, una sorta di frittelle di cialda. Accanto a lui si trova un venditore di gelati. Molti comprano i suoi dolcetti e poi se li mangiano assieme al gelato preso nel chiosco a fianco. A quel punto Hamwi prova ad arrotolare la cialda a cono, in modo che possa contenere il gelato e pure diventare portatile, così gli avventori si possono godere in santa pace le stranezze esposte nella fiera, come i ventiquattro prematuri che vivono nelle incubatrici, finché una febbre epidemica non ne stermina la metà.

La variante libanese vuole che un tal Abe Doumar di giorno lavori alla fiera e la sera se ne stia in contemplazione delle belle ragazze che si assiepano attorno al chiosco di dolcetti mediorientali. Sarebbe stato Doumar, con in mente la pita del suo paese di origine, a suggerire a Hamwi di arrotolare le cialde a cono, in modo che possano contenere il gelato. Seconda pista siriana: Nick Kabbaz lavora presumibilmente alle dipendenze di Hamwi e fornisce al suo principale l’idea di arrotolare le cialde a cono. Pista turca: David Avayou nota che molti visitatori della fiera di Saint Louis non comprano il gelato perché non vogliono perder tempo a mangiarlo nelle ciotole di ceramica da restituire. Gli viene in mente che in Francia si mangiano i gelati in coni di carta, e così si industria con farina e uova per creare un cono mangiabile. Tutti questi personaggi avvieranno in seguito lucrosissime attività industriali e commerciali. Marchioni apre una fabbrica di coni e cialde a Hoboken, nel New Jersey. Hamwi nel 1910 dà il via alla Missouri Cone Company, a Saint Louis, e morirà nel 1943, diventato milionario grazie ai coni gelato. Il libanese Doumar avvia una propria produzione di coni che passerà ai suoi discendenti. Nick Kabbaz diventerà ricchissimo con la sua Ice Cream Cone Company.

Quello che se la caverà meno brillantemente sarà il turco David Avayou perché la sua attività di fabbricazione di coni in un grande magazzino di Philadelphia va talmente bene che i proprietari del mall se ne impossessano e gliela sottraggono. In ogni caso, a questo punto, il cono mangiabile è pronto a emigrare dagli Usa all’Europa e a invadere il vecchio continente. Una delle prime notizie di coni gelato in Italia risale all’inizio degli anni Trenta, quando un produttore ungherese li importa a Trieste. Tra l’altro proprio in questa città e nello stesso torno di anni, si cominciano a usare i primi porzionatori rotondi a pallina, che il gelatiere zoldano Antonio Zampolli (ancor oggi esiste a Trieste una gelateria con questo nome), si fa portare dai marinai americani in arrivo nel porto cittadino. Negli anni successivi i gelatieri veneti adotteranno il porzionatore, mentre quelli siciliani rimarranno fedeli alla spatola.

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