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Carolina, 26 anni, guida il trattore e la filiera d'eccellenza dello zafferano toscano


“Zappo, vango, guido il trattore, invaso, etichetto e poi vendo alle fiere”. Carolina Calonaci è una giovane quota rosa dello zafferano Made in Italy, appena insignita del Premio Firenze Donna per il suo impegno in favore di una agricoltura antica. Ha 26 anni, una laurea in agraria e 8 ettari nella Valle del Mugello, a Vicchio, terra di Giotto e del Beato Angelico. Lì ha avviato con entusiasmo una startup contadina: nel suo Podere Rio II, oltre agli ortaggi e alle erbe officinali, coltiva a mano la spezia più preziosa del mondo. Un etto e mezzo di pistilli biologici ricavati dalla sfioritura di 10.000 fiori di Crocus sativus. Una pratica certosina che nei secoli, da Oriente a Occidente, è rimasta invariata: “E’ per questo che lo zafferano è prodotto prevalentemente da donne – spiega Carolina – richiede poca tecnologia, tanta pazienza e una delicata manualità per separare il fiore dai suoi filamenti”.

Donne in campo per una filiera di eccellenza

In Toscana la coltivazione dei bulbi di Crocus è per l’80% in mano alle donne: una piccola filiera d’eccellenza che vale 1 milione di euro di fatturato all’anno e che, con  il  marchio Zafferano delle Colline Fiorentine, commercializza solo stigmi  tostati. Opera sotto tutela dell’associazione Zafferano Italiano  che riunisce le principali aziende nazionali (oltre alla Toscana anche quelle di Marche, Umbria, Abruzzo, Sardegna, Emilia Romagna), minacciate spesso dalla concorrenza sleale di prodotti stranieri, in molti casi contraffatti o adulterati. Si tratta di imprese di piccole e medie dimensioni (dai 200 ai 5.000 mq): 320 realtà distribuite su 50 ettari che producono ogni anno 500 kg di pistilli.  Ma in futuro si prevedono raccolti più sostanziosi: cooperative e singoli produttori stanno emergendo in Sicilia, Cinque Terre, Valtellina, Puglia e nella Tuscia.

I numeri dello zafferano 

Copriamo ancora, però, solo il 10 % della produzione mondiale insieme all’ India (da cui il fiore proviene), alla Grecia, al Marocco e alla Spagna. Così, importiamo grosse quantità di zafferano (anche tritato e polverizzato): 22.472 kg per 22.937.838 euro. Il valore dell’esportazione invece non supera i 500mila euro. Il resto (90%) è tutto iraniano. Utilizzato anche per le sue proprietà terapeutiche (antiossidante, antidepressivo, efficace nella cura dell’ipertensione), in India, Tibet e Cina usano lo zafferano  per colorare le vesti dei monaci indù e buddisti. Ma trionfa in cucina, dall’antipasto al dolce.

Da Romito a Oldani, l’Oro Rosso in cucina

Quello sardo, coltivato nel Medio Campidano (35 ettari per 350 kg di raccolto tra San Gavino Monreale, Turri e Villanovafranca) è Dop: più intensi sapore, colore e aroma. E’ tra le coltivazioni più antiche dell’isola: le tecniche si tramandano di padre in figlio. I piatti tradizionali – gnocchetti, ravioli, polpette, casadinas malloreddus, fregula – hanno sempre il gusto raffinato, appena amarognolo, della “spezia delle Indie”.

A denominazione protetta anche l’ ”oro rosso” dell’Aquila, coltivato nell’Altopiano di Navelli: le tipiche costatine di agnello si preparano con funghi e zafferano rinvenuto in una ciotola di brodo o di acqua di cottura. Testimonial stellato del fiore lo chef Niko Romito: lo spolvera sul suo Risotto al limone, lo usa in pistilli nel suo Assoluto di cipolle e parmigiano.

In passato, lo Safron siciliano cresceva spontaneo nella zona di Enna. Ora piccole cooperative stanno rilanciando il prodotto che viene usato anche nella preparazione del  Piacentino Dop. Ciccio Sultano ne mette 2 grammi per aromatizzare il riso delle sue arancine.

Immancabile nella paella, nella bouillabaisse, nel curry, è nel risotto alla milanese che lo celebra la grande cucina italiana. A Milano i fiori di Crocus Sativus sono a km 0: nei campi del Parco del Grugnotorto, Dario Galli e il suo gruppo ha fondato Zafferanami, recuperando  una  parte del paesaggio agricolo della zona. Ne è entusiasta anche lo chef pop Davide Oldani che rivisita il più tradizionale dei risotti, eliminando le cipolle e aggiungendo una dose generosa di pistilli rosso porpora raccolti in Brianza,  tradotti in una salsa giallo oro. Nel menù ha invertito il nome della ricetta: il suo piatto si chiama Zafferano e riso.

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