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Scampato al naufragio, taxista in Brasile: la vita emozionante di…

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Storie di eccellenza

Scampato al naufragio, taxista in Brasile: la vita emozionante di Ruggero, fondatore della Bauli

Si dice che Napoleone volesse generali fortunati. Se Ruggero Bauli fosse stato un suo ufficiale, non c’è dubbio che avrebbe avuto i comandi più alti. Prima di diventare il re del pandoro, infatti, è sopravvissuto per ben due volte: alla rotta di Caporetto, nel 1917, e a un rovinoso naufragio al largo del Brasile, dieci anni dopo. Evidentemente cavarsela per il rotto della cuffia gli ha portato bene.

Ruggero Bauli era nato a Nogara, un paese della provincia di Verona dove la sua famiglia gestiva un panificio-pasticceria. Il padre lo manda ancora ragazzino a imparare il mestiere in una pasticceria di piazza Bra, a Verona. Ma scoppia la prima guerra mondiale, Ruggero è in età di leva e viene richiamato alle armi. Lo mettono a guidare i camion e con ogni probabilità deve a questo la sua salvezza. Fosse stato nel fango delle trincee avrebbe avuto molte meno possibilità di cavarsela. E sarà di nuovo la sua capacità di guidare a far sì che potesse rimettersi dal disastro del naufragio, come vedremo.

Destini incrociati: Ruggero Bauli e Angelo Motta

Ruggero si trova sull’Isonzo quando gli austroungarici e i tedeschi sfondano a Caporetto, il 24 ottobre 1917 (uno degli ufficiali che ottiene i primi determinanti successi è un tenentino tedesco, di nome Erwin Rommel). Il giovane Bauli è tra quelli che riesce a portare a casa la ghirba e sopravviverà anche ai rimanenti mesi del conflitto. Grazie al premio di smobilitazione e a un prestito dei familiari nel 1922 apre il suo primo laboratorio di pasticceria, a Verona. Curioso perché esattamente la stessa cosa aveva fatto a Milano un altro signore destinato a diventare importante nella storia dei dolci natalizi: Angelo Motta, che nel 1919 pure lui apre un laboratorio con i denari del premio di smobilitazione e un prestito della famiglia. Bauli, però, ce l’ha più difficile rispetto a Motta. Infatti mentre a Milano la tradizione del panettone fino a quel momento era soprattutto artigianale (alcuni produttori del tempo sono presenti ancor oggi, come per esempio Cova e Marchesi), a Verona un signore di nome Domenico Melegatti aveva inventato e persino brevettato il pandoro, nel 1894.

Chissà se è stato anche per la difficoltà di mettersi contro un produttore del genere o solo per i rincari dello zucchero e per una crisi che aveva fatto calare le vendite di questo tipo di dolci (che pieni di uova e burro com’erano, risultavano piuttosto costosi e riservati soltanto a una clientela abbastanza danarosa), ma cinque anni dopo l’apertura del proprio laboratorio, Ruggero Bauli decide di chiuderlo e di tentare l’avventura oltre Atlantico, in quell’America del Sud che sembrava essere la terra del latte e del miele.

Scampato al naufragio del Principessa Mafalda

L’11 ottobre 1927 salpa da Genova, ma il destino sta per mettersi di traverso. Bauli infatti si imbarca nella nave sbagliata. Si tratta della “Principessa Mafalda”, un transatlantico vecchio e malconcio che a parere di molti avrebbe già dovuto essere radiato. Ma gli armatori vogliono spremerlo fino all’ultima goccia e guadagnare fino alla fine tutto ciò che era possibile ottenere. Dopo un tira e molla, viene deciso che questo in cui si imbarca il pasticcere veronese sarebbe stato l’ultimo viaggio. Poi basta, sarebbe andata in disarmo. Ma la “Principessa Mafalda” non arriverà ai cantieri di demolizione. Il 25 ottobre, quando la nave si trova ormai a 300 miglia da Rio de Janeiro, si stacca l’asse di un’elica. L’asta di acciaio urta violentemente contro lo scafo e l’acqua comincia a irrompere all’interno dello scafo. Si cerca di chiudere le porte stagne, ma pure quelle sono malandate e difettose e non si riesce a isolare il comparto allagato. La nave è perduta.

Ancora oggi non sappiamo esattamente il numero delle vittime. Il bilancio ufficiale parla di 314 morti, ma i giornali brasiliani dell’epoca azzardano la cifra di 600 scomparsi. La stampa sudamericana non risparmia i particolari truculenti e afferma che molti naufraghi sono stati divorati dagli squali accorsi a banchettare tra i resti del transatlantico. I giornali italiani invece mettono la sordina alla notizie. Tre giorni più tardi, il 28 ottobre, ci sarebbero state le celebrazioni per il quinto anniversario della marcia su Roma, un anniversario tondo, da ricordare con particolare solennità. Quindi niente doveva disturbare quella che per il regime deve trasformarsi in un’autentica festa di popolo. Tantomeno un naufragio con centinaia di poveracci morti tra i flutti o, peggio, tra le mascelle dei pescecani. I giornali italiani si limitano a dare la notizia del naufragio affermando che c’era stata soltanto una manciata di morti tra gli ufficiali e i passeggeri di prima classe. Qualche privilegiato in meno, insomma, un po’ di vittime tra la casta, ma il sincero popolo d’Italia non doveva apparire toccato dalla tragedia.

Ruggero Bauli rimane a mollo ben due ore, con addosso il giubbotto salvagente. Alla fine lo tirano su, ma sono irrimediabilmente andate giù le macchine da pasticceria che aveva caricato nel transatlantico senza – sfortuna per lui – averle assicurate. Lo portano a Rio de Janeiro dove si ritrova reduce da un naufragio e senza un soldo.

Pasticcere a Buenos Aires

E il governo di Roma? «Gli italiani sanno sempre cavarsela egregiamente da soli» sentenzia maschiamente il regime fascista e così non cacciano il becco di un quattrino. I sopravvissuti si arrangino. In effetti Bauli si arrangia. Durante la guerra aveva guidato i camion? E ora si mette a guidare i taxi. In quel periodo il sogno americano non riguardava soltanto la parte settentrionale del continente e Ruggero non ci mette molto a mettere da parte il gruzzoletto necessario per trasferirsi a Buenos Aires, in Argentina, dove ricomincia a fare il suo mestiere, ovvero il pasticcere. E dev’essere pure parecchio bravo, se dopo un po’ lo mettono a capo di una brigata di quaranta pasticceri.

Ma mentre farina e uova possono pure essere foreste, moglie e buoi, si sa, devono provenire dai paesi tuoi e così Ruggero Bauli, per metter su famiglia, nel 1937 torna a Verona dove porta all’altare la sua Zina. Con i soldi che aveva risparmiato in Argentina apre un laboratorio dietro piazza Bra, ovvero proprio là dove tutto era cominciato quando papà l’aveva mandato a bottega perché apprendesse l’arte di ben impastare e alto far lievitare.

Da quei locali veronesi comincia l’epopea della Bauli che l’ha portata, oggi, a essere il leader incontrastato dei dolci da ricorrenza e a mangiarsi pure quella Motta che ai tempi a Ruggero Bauli doveva apparire una specie di drago a tre teste (e pure Alemagna è diventato un marchio Bauli, dopo che, come la Motta, era transitata per la mani della Nestlé).

Ruggero e Zina Bauli mettono al mondo cinque figli. Il terzogenito è quell’Adriano morto il 3 maggio, a 72 anni.

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