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Mollo tutto e apro un ristorante a New York? Cinque consigli (e una postilla) per avere successo

Non costa troppo, può rendere bene, vi fa volare a New York. O è un sogno o sono i micro-ristoranti, il trend in ascesa nella Grande Mela: trattorie minimal con pochi metri, pochi piatti, prezzi abbordabili e clientela fidelizzata di ordinazione in ordinazione. Il made in Italy piace, come sempre. Ma tra cupcake e cheesburger, sono in pochi a sfruttare la tradizione di casa nostra tra le vie di Manhattan: «E la cucina italiana – spiega Lucio Miranda, presidente ExportUsa – offrirebbe innumerevoli spunti per un’attività di questo tipo…». Qualche esempio? Dall’ovvia combinazione di pasta&pizza a ravioli “personalizzati”, piadine, panzerotti con ogni genere di farcitura. La suggestione c’è, ma il passo in più è tutt’altro che breve. Ecco i 5 consigli di ExportUsa per chi sogna un ristorante nella Grande Mela. O, magari, nella sua città.

1) Come aprire, dove aprire

Gradino numero uno: come si avvia un’attività? E soprattutto, dove? Per «essere presi seriamente» dagli agenti immobiliari e dai proprietari che vi accorderanno l’affitto bisogna aprire una società di diritto negli Usa. «Sconsigliamo vivamente l’apertura di una Llc (Limited Liability Company, società a responssabilità limitata, ndr). Consigliamo, invece, l’apertura di una Corporation (l’equivalente delle nostre S.p.a., ndr) mette in chiaro Miranda. A carte fatte, scatta la ricerca di una posizione sulla mappa sterminata di New York. «Bisogna trovare i locali giusti, nel posto giusto, i locali non devono essere troppo grandi altrimenti l’affitto sarà troppo alto e la location deve garantire un buon flusso di traffico (non necessariamente turisti, va benissimo anche una zona vicina a degli uffici)». Il metro migliore, comunque, resta quello del cliente: «Consigliamo di “appostarsi” durante le ore del “lunch” nei pressi del locale che si vuole affittare per constatare di persona il passaggio».

2) Norme e licenze

L’occhio vuole la sua parte. Ma se il rinnovo del locale costa più del locale, forse, è il caso di guardare altrove: «Per contenere l’investimento è cruciale trovare dei locali il cui affitto non sia eccessivo e nella location “giusta”. Ma se poi si deve spendere una fortuna per rimetterli a nuovo crolla tutto l’assunto di base» (che, lo ricordiamo, è quello di contenere al massimo l’investimento iniziale). In generale, è bene affidarsi a professionisti esterni. Il contractor, l’equivalente dei nostri geometri, valuta lo stato di diritto dei locali: permessi, licenze, agibilità, destinazione d’uso. Se pensate di servire Chianti o Peroni, controllate che il locale sia idoneo alla licenza per la «mescita» di birra e vino. Non conviene scoprire il contrario nella serata di inaugurazione…

3) Contratto: attenti al proprietario. E al suo avvocato

Mai firmare senza la revisione del contratto, mai affidarsi ai legali “suggeriti” dai proprietari. Sono i due veti ribaditi da Miranda, a tutela di chi sbarca negli Usa senza esperienze di affitto: «Mai, ripetiamo mai firmare nulla senza che un avvocato specializzato abbia rivisto nel dettaglio il contratto di affitto che il proprietario dei locali vi proporrà» insiste il presidente di Export Usa. A maggior ragione, antenne dritte sugli avvocati graditi da chi vi sta per accordare l’affitto. Non ci saranno garanzie su buona e cattiva fede, ma nel dubbio «mai usare l’avvocato che vi suggerisce il proprietario dei locali – evidenzia Miranda – E, per lo meno a New York, resistete anche alla tentazione di affidarvi ad un avvocato solo perchè parla italiano!».

4) I piatti: dal tortellino alla pizza, vince (quasi) la tradizione

Il modello non cambia: piatti rapidi, essenziali, senza liste da capogiro in menù. La creatività, semmai, si sbizzarrisce con salse, varianti, interpretazioni personali… I micro-ristoranti Usa insistono su hamburger e polpette. Quelli italiani possono scremare tra 20 regioni e migliaia di ricette. Per cominciare, suggerisce Miranda, «polpette, riso, pasta, piadine, ravioli e tortellini e altre specialità alimentari simili che la vostra cucina regionale saprà consigliarvi». Ma se il locale aprisse domani, quale sarebbe la top 6 dei prodotti più appetibili e più richiesti? Export Usa consigia pasta, servita con varietà di sughi; ravioli, con gusto soggettivo per impasto e sughi; panzerotti farciti a piacere; le cosiddette “pizza sliders”, simili alle speedy pizza surgelate: piadine e tigelle. Con buon corredo di salumi e formaggi, a seconda della provincia di provenienza…

5) Ma quanto costa?

Nella vita niente è gratis, men che meno un ristorante a Broadway. Ma tra affitti, spese minime e visto, quanto costerebbe la “fase di decollo” dell’attività?  «Come ordine di grandezza dell’investimento siamo, dollaro più dollaro meno, sui 200mila dollari» spiega Miranda. La somma sblocca l’attività e, come sottolinea Export Usa, permette anche di «fare la domanda per ottenere il visto investitore per gli Stati Uniti, valido cinque anni e rinnovabile a scadenza, si estende al coniuge ed ai figli minori». Certo, non è una cifra alla portata di tutti, ma si possono cercare due o tre soci e trovare qualche forma di finanziamento. Non dimentichiamo che stiamo parlando di Manhattan se si guarda altrove (Brooklyn, Queens) le cifre cambiano.

Un “mattone in più” nelle diga anti-contraffazioni

Il problema è noto: parmesan svenduto come parmigiano, Chianti prodotto negli States, olio senza nulla di “extravergine”… Le trattorie a New York, micro e non, possono difendere il made in Italy dal business delle contraffazioni che spopola negli Usa? Gli spazi di manovra sono ristretti, in linea con metratura e vocazione di negozi che si incastrano tra uno stabile e l’altro. Ma se il prodotto è nazionale, il bollino “Qualità Italiana” è la garanzia in più che si ritaglia all’ingresso: «Un microristorante non ha lo spazio per fare grandi opere educative a favore del prodotto alimentare veramente Made in Italy. Ma lo spazio non deve assolutamente limitarvi! – ribadisce Miranda – È  possibile, infatti, affiliarsi al marchio “Qualità Italiana”, esporre la decalcomania ufficiale e, nella poca comunicazione che lo spazio limitato vi consente, potete dire come nasce e da arriva la specialità italiana che servite nel vostro locale. In questo modo, avrete aggiunto il vostro mattone alla diga che cerca di contenere il dilagare del cibo “pseudo” italiano!».

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