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Mi reinvento viticoltore? Dagli incentivi ai viaggi in California cinque consigli per chi sogna una cantina

Alla terra si va, alla terra si torna. L’agricoltura riacquista fascino tra i giovani, con un vero e proprio boom di imprese capitanate da under 40 e addirittura under 30. L’enologia non fa di meno, anzi: basterebbero le 155mila presenze al Vinitaly 2014 per dire quanto e come il sogno di una cantina prenda il largo tra chi lavora – o vorrebbe lavorare – nella filiera che va dalla vigna alle etichette sul mercato. Come si diventa viticoltore? Le degustazioni affascinano. Ma un’attività del settore richiede competenze, accorgimenti e budget che solo chi “mastica” uve da anni può descrivere. «Prima di tutto parlare con se stessi: è una passione o un interesse, o una moda? Alle volte si parte da exploit di consumi o trend e si arriva a tentativi imprenditoriali. Con esiti che si possono immaginare – spiega al Sole 24 Ore Ugo Bagedda, vicepresidente di Associazione nazionale giovani agricoltori (Anga, costola giovanile di Confragricoltura, ndr) – Solo se hai passione riesci a snocciolare tutte le problematiche, approfondire, fare tuo il mestiere».

1) Studi in enologia. E occhio al francese 

Il primo consiglio è sempre quello: studiare. Chi sogna una vita nella “nuda terra” deve fare i conti con un background minimo che include basi di economia, agricoltura, enologia, marketing, lingue straniere… «Io ad esempio sono laureato in viticoltura ed enologia – spiega Bagedda – È una laurea che consiglio vivamente perché è un settore che necessita di competenze diverse, dalla chimica al marketing». Secondo fattore: le lingue. L’inglese è un atto dovuto, visti volumi di export che nel settore vinicolo oscillano fino e oltre il 70 e l’80% («Ma ho amici e colleghi che vanno tranquillamente fino al 90» commenta Bagedda). Il resto dipende dai mercati che si vogliono aggredire: consigliate lingue orientali come cinese e giapponese, senza trascurare i vicini di casa della Francia. Occhi puntati sulla concorrenza? Anche, ma non va trascurato che «il francese è la lingua parlata in molti paesi africani ed è assai praticata anche nelle ambasciate» spiega Bagedda.

2) Il vino non si stappa in un giorno. Calcolare e “accettare” i tempi lunghi

A formazione intascata, meglio ancora se con un diploma o basi da sommelier, si inizia sul serio: quale terreno, quali vigne? L’errore è macinare ettari nella convinzione che l’investimento sia a profitto o “almeno” fallimento immediato. I tempi di attesa si calcolano sugli anni, non sui mesi:«Un vino non si fa in un giorno, ma nemmeno in un anno» ricorda Bagedda. La tempistica adatta?«Gli investimenti in vigne sono a 20 anni,30 anni o addirittura 40 anni! Perché alle spalle ci deve essere un progetto solido, che coinvolga un po’ tutti fattori che sono stati detti: la terra, le uve, le tecniche di colture…  – sottolinea Bagedda -Tutte queste componenti si sentiranno nel vino che producete. E i frutti migliori non si vedono prima di 5 o 6 anni».

3) Pochi ma buoni: puntare sulla tipicità

Se siete cresciuti in Friuli e vi ostinate a produrre Cannonau, qualcosa potrebbe andare storto. Bagedda insiste sulla tipicità: per chi acquista una vigna da zero, è meglio insistere sull’autoctono e spremere il territorio nelle sue caratteristiche fondanti. Senza differenziazioni o forzature che non migliorano né quantità né – tantomeno – qualità dell’etichetta che state progettando. «Se volete diventare viticoltori dovete puntare sulla tipicità: capire dove si sta, quello che è tradizionale e quello che non lo è. Oggi più che mai non saremmo mai competitivi su prezzo o volume ma sulla tipicità e l’aderenza al territorio» evidenzia Bagedda.  Un conto sono i vigneti internazionali come il Cabernet. Un conto certe uve e certi aromi, tondi fino in fondo solo nei confini che fanno per loro:«Facciamo l’esempio della Sardegna, la mia regione – dice Bagedda – Qui, in Gallura, abbiamo l’unica Docg in Vermentino perché il terreno si sposa bene con quella produzione. Lo sempre dico agli amici che producono un po’ di tutto: produci Cannonau, non disperdere la produzione. Così anche nel Chianti, nella zona del Barolo, del Veneto».  Non si tratta “solo” di qualità e appeal sui clienti esteri. La storia di una produzione è la storia di regioni, province, borghi. E le tecniche si confondono nella cultura, «sedimentata nei secoli e nel vino».

4) Mai sottovalutare i costi. Budget di partenza: da 100mila euro a 1 milione

Se c’è un’azienda di famiglia alle spalle, gli investimenti fanno meno paura. Ma se si inizia da zero?«Mettiamolo in chiaro: se un giovane vuole partire da zero e non ha disponibilità economiche importanti, il budget è molto alto. Poi dipende da dove vai a comprare la terra e, ovviamente, quanta ne compri…» evidenzia subito Bagetta.  In un investimento ex novo, la finanze sul piatto per la fase di apertura possono oscillare dai 100mila euro a ettaro fino e oltre un milione di euro (sempre a ettaro). Si badi bene, non è necessario l’acquisto del terreno in blocco. Alcuni comprano uve da terzi, le fanno vinificare in cantine già attive e immettono  sul mercato un’etichetta autonoma.«Può essere un primo esperimento – sottolinea Bagetta -. Se il prodotto funziona, poi, si possono pensare a investimenti più corposi».

5 ) Gli incentivi servono. Viaggiare (in California e Australia) pure

Piani di sviluppo rurale, Invitalia, Ismea. Sono le tre bussole indicate da Bagedda per la caccia agli incentivi che possono alleggerire l’investiemento di partenza. Nel dettaglio i “PSR” possono erogare dai 35mila euro in su agli imprenditori che subentrano a un dirigente in età pensionabile (in aziende già attive), l’Ismea predispone misure ad hoc per gli imprenditori con meno di 40 anni d’età. Altro valore in più: il viaggio e le esperienze internazionali, dai tirocini all’aggiornamento professionale in corso d’opera. Le mete più adatte? Bruno Trentini, enologo e direttore generale della Cantina di Soave, consiglia di sbilanciarsi sul “nuovo mondo” della produzione: «Qualsiasi ragazzo che desidera iniziare un’attività imprenditoriale è importante che cominci con delle esperienze esplorative nel Nuovo Mondo, come la California e l’Australia. Sono meno legati al concetto di tradizione e ma hanno un approccio molto più scientifico per ciò che concerne il raggiungimento di obiettivi precisi».

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