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Manca il luppolo? La birra (in Lazio) si fa con le erbe officinali

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Manca il luppolo? La birra (in Lazio) si fa con le erbe officinali

Il sogno era una birra tutta “made in Lazio”. E aveva un senso visto che parliamo di una delle regioni italiane più sensibili al fascino della birra, in particolare quella artgianale. Dei tre milioni e mezzo di consumatori abituali – secondo Assobirra – nove su dieci conoscono e apprezzano almeno una delle cento etichette prodotte dai dieci microbirrifici, il cui giro d’affari ha superato i tre milioni di euro. Da qui è nata la voglia di andare oltre con l’iniziativa firmata dall’A.BI Lazio: l’associazione, nata due anni fa con l’obiettivo di promuovere e sostenere la filiera della birra in questa regione. Ne fanno parte otto  microbiffici, ben noti agli appassionati (Atlas Coelestis, Birra del Borgo, Birra Turan, Birrificio Ostiense Artigianale, Free Lions, Itineris, Mister Malto, Turbacci) e due malterie (Saplo e Agroalimentare Sud): per la cronaca, si tratta della prima associazione regionale del settore che ha trovato l’appoggio di Coldirettti Lazio e dell’Arsial, l’Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio: ovviamente interessati a un “meccanismo” dove tutto dalla terra alla tavola è legato alla regione.

Erbe officinali al posto del luppolo

Ci voleva un bel nome per il prodotto ed è stato centrato: La Zia Ale con evidente richiamo alla regione e allo stile di birra (Ale, ad alta fermentazione) tra i più famosi, amatissimo in Gran Bretagna e Irlanda e in lenta crescita da noi. A.BI ha stabilito il disciplinare produttivo e gli otto mastri birrai si sono messi al lavoro. Il problema numero uno? Semplice: il luppolo che non è disponibile in quantità necessaria in regione (come nel resto d’Italia), al contrario del malto che si ricava dall’orzo e quello laziale è quotato. “Ci abbiamo ragionato parecchio e poi si è guardato al passato, ai metodi usati nei monasteri anche della nostra regione – spiega Leonardo di Vincenzo, presidente di A.BI Lazio e lui stesso produttore, in quanto patron di Birra del Borgo – ma noi siamo andati oltre le semplici erbe officinali che loro coltivavano per realizzare la birra”.

Era un insieme di aromi e spezie – custodito gelosamente dagli abati – con il nome suggestivo di gruyt, termine di origine sassone che trovò spazio enorme soprattutto nelle abbazie belghe. “Per la mia ho puntato su un mix di cicoria romana, misticanza e finocchietto selvatico – continua Di Vincenzo – i colleghi hanno utilizzato gruyt  differenti tra loro con carciofo, rosmarino, zucca, persino liquirizia. Uno spettacolo, insomma. Del resto ho saputo che Teo Musso, pioniere della birra artigianale in Italia con la sua Baladin, ha intenzione di guardare con grande attenzione alle ricette antiche. Possiamo dire con un pizzico di orgoglio e senza essere un mito come lui, di aver anticipato il suo nuovo progetto”.

Otto versioni per Zia Ale

Elemento importante, molto sentito dai birrofili laziali: la stagionalità del prodotto. Ferma restando la gradazione alcolica (5,5%), la rotazione decisa dai mastri birrai ha creato un “sistema intelligente” che sfrutta i prodotti della terra nel momento migliore e quindi dà freschezza e grande qualità alla birra. E a differenza di quanto avveniva nel Medioevo, almeno per La Zia Ale non ci sono segreti tra i produttori.  “Dico sempre che la nostra è la prima birra italiana a sedici mani, un gioco per alcuni versi e una cosa serissima per altri – prosegue il presidente di A.Bi Lazio – tanto è vero che tutte le otto versioni, per quanto diverse nel gusto, sono piaciute agli appassionati sia nei vari eventi sia nella degustazione costante presso l’Enoteca Regionale Palatium di Roma.

Lazio leader di consumo

Il prossimo obiettivo sarà creare un luppolo ‘regionale’ che abbia un aroma adatto per i nostri prodotti e proprietà organolettiche tipiche del posto in cui è coltivato”. Nell’attesa, la Zia Ale si è messa l’abito da sera, per un evento svoltosi nello scorso dicembre presso Eataly Roma dove tutte le otto versioni sono state protagoniste insieme a piatti regionali per una scelta precisa (e logica) di abbinamenti birra-cibo. “E’ stata una vera festa per chi ama la birra artigianale, un riconoscimento per i microbirrifici laziali che hanno conquistato l’otto per cento del mercato, una quota ben superiore a quella media nazionale che si attesta al tre per cento. Vuol dire che i nostri corregionali apprezzano il nostro costante impegno sulla bevibilità e sulla qualità”. Ennesima prova: il Gambero Rosso, da sempre attento al fenomeno, nella sua guida Roma 2014 ha assegnato 153 “boccali” ai ristoranti della regione con una buona offerta birraria e ha recensito ben 22 beershop. Sicuramente in questo trend giova il fatto che il vino in Lazio non ha il peso culturale ed economico che riveste in altre regioni italiane. Ma è passione vera, comunque.

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