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Mangiare al museo: la cucina che ride di Cristiano Tomei a Lucca

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Storie di eccellenza

Mangiare al museo: la cucina che ride di Cristiano Tomei a Lucca

Il White Album dei Beatles in sottofondo, i tavoli di cartone pressato, un metro quadrato di cuoio di toro come tovaglia, e uno chef che decide guardandoti in faccia cosa servirti.

Se L’Imbuto di Lucca è quello che si dice un ristorante divertente, il merito è dello chef Cristiano Tomei, il genere di patron che si appoggia alla tua sedia e ti guarda assaporare il primo boccone per chiederti se indovini quale erba che cresce sulla spiaggia di Viareggio si nasconde sotto il riso che ha cotto in un passito veneto e mantecato con ricci di mare.

Ma non bisogna averne paura: Tomei partecipa così, con gli occhi che brillano e l’entusiasmo genuino del bambino che ha fatto la prima torta per la mamma, solo se percepisce che questo suo interventismo è gradito ai suoi ospiti. “Da cosa lo comprendo? Dalla posizione in cui si siedono, se invece di guardarti in faccia fissano il tavolo, se citano subito un altro ristorante… Laura è bravissima a fare sentire a proprio agio chi arrivando scopre che la nostra carta è in realtà un menù fatto di numeri: 4 portate per 40 euro, 6 per 60 euro e 9 per 90 euro. E che a parte chiedere se ci sono cibi non graditi, non riveliamo altro finché il piatto non gli arriva davanti” (Laura, longilinea e gamine, non è solo la fondamentale bella presenza del ristorante, ma anche “la padrona di casa e la mia padrona”).

frollino impastato con i succhi della testa degli sparnocchi

Come scelgono cosa portare ai clienti? Perché basta guardarsi attorno per constatare che non ci sono due tavoli serviti alla stessa maniera. “Se vediamo che sono un po’ spaventati cominciamo con piatti meno avventurosi, più vicini al comfort food; se hanno scelto il menù da nove portate in genere sono pronti ad essere sorpresi. È bello vederli provare qualcosa di nuovo e sorridere!”.

Tortellini ripieni di evo e parmigiano, concassè di seppia al vapore, polvere di cavolo nero, scorza limone

Dovrebbe essere difficile per chiunque non sorridere provando i tortellini che in bocca rilasciano un ripieno di olio extravergine toscano tiepido dalla sensualità quasi imbarazzante. O il frollino impastato con i succhi della testa degli sparnocchi, servito con sparnocchio crudo, fiori di elicriso, scorza di limone e alga wakame fritta: una staffetta di mineralità e dolcezza che, pur nel concept sofisticato, evoca la battigia versiliese e certi capanni tra i pini dove “si va a mangiare il pesce”. Un piatto riuscito è infatti quello che parla alla memoria più cruda e più emotiva, che è capace di trasportare chi lo mangia in uno stato mentale passato, immaginato o idealizzato, che sa di idea platonica, di essenziale. Anche quando non lo è.

Tuorlo marinato nell’acqua dei pelati, meringa di cipolla, sgombro crudo, aneto, scorza limone

Demografia dei foodies

Dovrebbero essere i quaranta-cinquantenni gli utenti più entusiasti di questo tipo di cucina creativo-emotiva: la demografia più solvibile, più mobile, più esperta. E invece, dice Tomei, i suoi clienti migliori, i più aperti, sono i giovani e gli anziani. “Prendono il menù che costa meno, ma si divertono di più e io con loro. Chi ha una certa età, soprattutto, si scioglie con questa formula a sorpresa”. E se lo chef intuisce un vero interesse per le sue proposte, non lesina portate che passano in cavalleria sul conto.

Con 40 coperti, altre quattro persone in cucina e due in sala, come fa a starci dentro? “Beh, è una gestione più difficile rispetto a una carta che ti permette di ordinare gli stessi ingredienti per settimane. Bisogna essere pronti a tutto: oggi trovo il piccione e domani il cervello; magari il contadino mi offre una cassa di mele non abbastanza belle per il mercato, ma buonissime per me. Grazie al percorso degustazione riesco a calibrare quello che costa di più con materie prime “povere” e a razionalizzare le dispersioni. Bisogna limare tutto, ma ammetto che lavorare così è un’esigenza fisica per me, sennò mi annoio e paradossalmente mi stresso di più”. Quindi è una strategia che  paga? “Pagare, mi paga il sorriso della gente… ma quello in banca non lo cambio!”.

Tomei, come è comune tra gli chef che fanno cucina di alto livello, guadagna con consulenze, ospitate in tv, catering di lusso, eventi speciali. L’Imbuto, che non è esattamente il solito ristorante in quanto occupa il vestibolo e qualche stanza del Lu.C.C.A (Lucca Center of Contemporary Art) , è volutamente informale; ma oltre agli studenti e ai pensionati attrae una clientela agiata, sia internazionale che locale.

Lucca è una antica città di origini romane chiusa da imponenti mura secentesche, fiera, nobile e notoriamente parsimoniosa. “Una città che sta bene grazie all’industria cartiera: la carta igienica non conosce flessioni”, spiega sorridendo lo chef mentre guida un SUV che ha visto tempi migliori verso le colline alle spalle di Camaiore dove ogni giorno va a raccogliere asparagi selvatici, germogli di rovo, trifoglio e nepitella per i suoi piatti. “E poi vicinissima c’è Pisa, con l’industria farmaceutica. Altro settore che non conosce crisi”.

Trasferendo il ristorante nella seriosa Lucca da Viareggio dopo dieci anni di attività in una delle zone più votate al turismo e più vocate a uno stile di vita spensierato, Cristiano e Laura si sono presi un bel rischio, che però ha dato frutti migliori del previsto. Sembra incredibile ma rispetto alla Versilia, con i suoi russi e i suoi calciatori da Twiga, qui, afferma lo chef, tutto è più vivace e meno conservatore. Il ristorante fa il pieno tutti i giorni della settimana e questo gli permette il tipo di libertà di gioco in cucina che per un cuoco è il lusso più grande del mondo. Anche se è un autodidatta che non ha conosciuto padroni e ha sempre guidato la sua brigata, Tomei sa apprezzarla appieno.

insalata di finocchi, arancia marinata nel Campari, spuma di olio dolce

Appoggiando sul tavolo una coppetta di insalata di finocchi, arancia marinata nel Campari, spuma di olio dolce, cannella e pop corn caramellato, guarda il suo dessert compiaciuto e annuncia: “Ogni giorno mi libero da uno schema precostituito. E mi diverto sempre di più”.

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