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La Nutella compie 50 anni. Storia di un successo senza frontiere

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La Nutella compie 50 anni. Storia di un successo senza frontiere

È il 20 aprile 1964 quando accade un fatto destinato a segnare la storia dell’industria alimentare e, in definitiva, pure quella del made in Italy. Quel giorno di cinquant’anni fa esce dalle linee della Ferrero, ad Alba, il primo barattolo di Nutella. Da quel momento le merende per i bambini non sarebbero state mai più le stesse.

Era almeno dagli anni Venti che i Ferrero – Pietro prima e Michele poi – inseguivano quell’obiettivo: creare una merenda al cioccolato e a basso prezzo da mangiare assieme al pane.

All’inizio Pietro Ferrero non si rivolge ai bambini, bensì agli operai. Il fondatore della dinastia industriale si era spostato dalle natie Langhe a Torino dove aveva aperto una bottega di pasticcere. Vede gli operai vanno a lavorare in fabbrica portando con sé del pane da consumare assieme a pomodori e formaggio. Pensa che se fosse riuscito a fornire a quegli operai qualcosa di dolce e a basso prezzo da mangiare assieme al pane, avrebbe fatto tombola. In Piemonte al tempo esiste già una specie di cioccolato autarchico, fatto con poco cacao e molte nocciole tritate fino a essere ridotte in polvere: il gianduia. Le nocciole – la tonda gentile delle Langhe – sono abbondantissime in Piemonte e spesso i contadini non sanno nemmeno che farsene (oggi le cose stanno in modo ben diverso). Pietro Ferrero comincia a lavorarci sopra e nel 1925 mette a punto il cosiddetto “pastone”, una sorta di nonno della Nutella. Si tratta di una pasta al cioccolato e nocciole, ottima mangiare assieme al pane. Naturalmente, oltre che dagli operai, viene subito apprezzata anche dai bambini e proprio i più piccoli diventano l’obiettivo di Ferrero convinto che ci saranno sempre bambini a cui far fare merenda.

Pietro “lo scienziato”

Arriva la guerra, Pietro chiude la bottega di Torino e si rifugia ad Alba dove continua a lavorare a attorno a quel composto al cioccolato. È buono nel gusto, ma troppo duro, difficile da utilizzare. Pietro cerca la formula per ammorbidirlo. Se ne sta giorni e giorni chiuso nel suo laboratorio, con addosso un camice bianco e rimestare pentole su pentole di pasta al cioccolato. In paese lo chiamano “lo scienziato” e, come si sa, non ci vuol molto perché accanto al sostantivo scienziato si appiccichi l’aggettivo pazzo. Invece a Ferrero arride il successo: nell’autunno 1945, o all’inizio del 1946 – la guerra è finita da pochi mesi – ritrova su uno scaffale un dimenticato barattolo di burro di cacao. Lo aggiunge all’impasto e… eureka (ho trovato) avrebbe detto Archimede.

Eccola là, una pasta bella morbida, che si può fare a fette, che sa di cioccolato, ma soprattutto, che costa pochissimo. Nell’Italia stremata dalla guerra nessuno ha soldi da buttar via in dolcezze e voluttà. Gli ingredienti sono più o meno quelli odierni: zucchero, nocciole, grassi vegetali e cacao. Per il nome Pietro non ci pensa su molto: va benissimo quello del tradizionale cioccolato con le nocciole piemontese. Anzi, visto che c’è, Ferrero fa disegnare sulla carta della confezione la faccia sorridente di Gianduja che abbraccia un bambino. Il Giandujot, o Pasta gianduja, arriva nei negozi nel 1946 e costa 4-5 volte meno del cioccolato tradizionale; nocciolato è la scritta sulla confezione. Si tratta di una specie di marmellata solida in pani avvolti nella stagnola che si vende a peso e si taglia a fette per imbottire i panini.

Nasce il cremino

Il prodotto va subito fortissimo, il successo è immediato. Il cioccolato per far merenda con il pane si vende come il pane e il problema ora, per Ferrero è tener dietro agli ordini. Lo stabilimento di Alba, da minuscolo laboratorio artigianale, si amplia sempre di più. Monsù Pietro, come tutti lo chiamano, ha un’ulteriore idea: vendere il Giandujot in confezioni monodose. Nasce così il cremino, un cioccolatino popolare ancora ai nostri giorni.

Il passo successivo è quello di rendere la pasta al cioccolato da affettabile a spalmabile. Ma non sarà Pietro a compierlo: il fondatore della Ferrero muore il 2 marzo 1949, sostituito dal figlio Michele (ancor oggi patriarca della Ferrero, nonché uomo più ricco d’Italia). La leggenda vuole che in quella stessa estate del 1949, particolarmente calda, la pasta gianduja si sciolga e alcuni intraprendenti negozianti comincino a venderla come crema da spalmare sul pane. Altra versione della leggenda è che il caldo sciolga la pasta negli stessi stabilimenti Ferrero, rendendola in tal modo spalmabile.

Il segreto degli olii vegetali

A quel punto Ferrero ritocca la formula e rende la pasta più morbida, facendo sì che si possa spalmare sempre, a prescindere dalla temperatura esterna. L’impasto non contiene più burro di cacao, bensì una miscela di olii vegetali. Come questa miscela sia composta è uno dei segreti meglio custoditi dall’azienda. I pochi che lo conoscono non possono, per contratto, abbandonare la provincia di Cuneo. E pur di non violare quel segreto, la Ferrero ha preferito perdere alcune cause legali (la più clamorosa negli Stati Uniti) basate sull’impossibilità di identificare cosa diavolo si celi all’interno di quella benedetta scritta “olii vegetali”.

Il prodotto prende il nome di Supercrema e si affianca, senza sostituirlo, al Giandujot. I genitori, tuttavia, preferiscono la crema spalmabile alla pasta da tagliare a fette perché i bambini non possono più buttare le fette di pane per mangiarsi solo l’imbottitura di cioccolato, come talvolta avveniva in precedenza.

C’è anche una componente psicologica: il dolce in Italia, paese cattolico, è visto come qualcosa di peccaminoso. La Ferrero, per renderlo maggiormente accettabile, lo confezione dentro oggetti che poi resteranno: dapprima giocattoli per i bambini e in seguito i celebri bicchieri. Il contenitore che rimane e può essere riutilizzato fornisce una sorta di giustificazione morale all’acquisto di un contenuto meno accettabile.

Il decennio Cinquanta costituisce un periodo di crescita clamorosa per la Ferrero, che apre pure uno stabilimento in Germania, ad Allendorf, 150 chilometri da Francoforte. Proprio dalla filiale tedesca verranno le spinte più forti a cambiare il nome del prodotto: Supercrema riesce ostico da pronunciare in tedesco, per non parlare di Giandujot, che è ostico pure in italiano. Inoltre, nel 1962, il parlamento italiano approva una legge che viene interpretata come un divieto di apporre prefissi accrescitivi ai nomi: niente più super, ultra, stra e poi qualcosa. La Supercrema ci ricade in pieno.

La scelta del nome giusto

Ad Alba c’è grande fermento per trovare un nome nuovo. La rosa è ampia, si parla di SuperNut, Nutosa, Nutola, Nusty. Alla fine, però, come sempre, è Michele Ferrero in persona a decidere. E sceglie Nutella. Il nome è formato da due parti: la prima “nut” vuol dire noce in inglese, ma è facilmente identificabile anche in altre lingue. La seconda “ella” è un diminutivo femminile, che quindi comporta sentimenti positivi come tenerezza, affetto, dolcezza. Un po’ come la mozzarella. Inoltre è facile da pronunciare in qualsiasi lingua.

Evidentemente la scelta è ben ponderata perché il nome viene depositato il 10 ottobre 1963. Il primo barattolo, come detto, vede la luce sei mesi più tardi. Dal 20 aprile 1964 inizia l’era della Nutella in cui ancora, ci piaccia o meno, ci ritroviamo immersi.

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