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Il caffé San Marco di Trieste: cent'anni vissuti pericolosamente

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Il caffé San Marco di Trieste: cent'anni vissuti pericolosamente

Ogni città asburgica degna di questo nome, aveva alcune caratteristiche imprescindibili: gli edifici pubblici color giallo Schönbrunn (cioè dipinti nella stessa tonalità della reggia estiva di Francesco Giuseppe), il profumo di gulasch che aleggiava nelle strade e i caffè. Tanti caffè, dove si potevano trascorrere ore e ore chiacchierando e leggendo giornali. Trieste, terza città d’Austria dopo Vienna e Praga, non faceva eccezione. Uno di questi caffè, il San Marco, tra i pochi sopravvissuti e l’unico rimasto intatto negli arredi e nelle decorazioni dai tempi degli Asburgo, compie ora cent’anni. Questa è la sua storia.

Proprio dai caffè rimane impressionato Marco Lovrinovich, ricco mercante di legname e vino, quando decide di trasferirsi a Trieste dalla natia Fontane d’Orsera, vicino a Parenzo, in Istria (oggi Poreč, in Croazia). È il 1901 e Lovrinovich pensa che potrebbe essere una buon investimento aprire un locale elegante dove ci si possa ritrovare a discutere. Gli altri gestori di caffè cercano però di ostacolarlo in tutti i modi e fanno in modo che non gli venga concessa la licenza per una nuova apertura. Deve perciò attendere che qualcuno rinunci in suo favore e ciò accade solo parecchi anni dopo, quando un commerciante gli cede la Latteria centrale Trifolium, affacciata su quella che allora si chiamava Corsia Stadion e oggi è via Cesare Battisti.

Una fede irredentista

C’è un altro particolare che non va trascurato: i caffè sono spesso ritrovo di persone che manifestano determinate idee politiche. Frequentare l’uno o l’altro caffè è un po’ come iscriversi all’uno o all’altro partito. Per esempio il non lontano caffè Eden (oggi cinema Ambasciatori), con il suo teatro annesso, è il ritrovo preferito degli ufficiali in forza alla vicina caserma sede del 97° imperiale e regio reggimento di fanteria. Lovrinovich non fa affatto mistero della sua fede irredentista. E infatti vuol chiamare il suo caffè San Marco. Le autorità austriache stupide non sono, e capiscono benissimo dove l’uomo voglia andare a parare. Il leone di San Marco, già simbolo della Serenissima repubblica di Venezia, viene in quegli anni utilizzato dagli irredentisti in chiave anti austriaca. Ma l’Austria è un paese strano e – ben lungi dall’essere la prigione dei popoli dipinta dalla propaganda avversa – tende a mostrarsi accomodante. Per esempio Trieste è la prima città in Europa a erigere un monumento al più italiano dei musicisti italiani, Giuseppe Verdi, nel 1906, a cinque anni dalla morte. Così Lovrinovich giustifica il nome che vuol dare al locale affermando che si tratta di un omaggio a suo padre che lo ha chiamato Marco. L’imperiale e regia luogotenenza, si può presumere di controvoglia, concede il nulla osta.

Stucchi tricolori

Il proprietario del caffè incarica della direzione dei lavori un irredentista come lui: Napoleone Cozzi, un personaggio eclettico, pittore e decoratore, alpinista e schermidore, che dà al San Marco un aspetto decisamente italiano. Gli stucchi delle volte – oggi color bronzo – nel 1914 sono invece sfacciatamente tricolori: sulle pareti bianche campeggiano i chicchi di caffè rossi, con le loro brave foglie verdi.

Il caffè apre i battenti nei primi mesi del 1914 diventando immediatamente, e non potrebbe essere altrimenti, il punto di ritrovo della gioventù irredentista di Trieste. Tra gli avventori si contano anche i giovani ebrei che frequentano la vicinissima sinagoga (costruita nel 1910, contende a quella di Budapest il primato del tempio ebraico più grande d’Europa). Poiché molti fra gli irredentisti sono ebrei (o molti ebrei sono irredentisti, se si preferisce), il cerchio si chiude.

A pochi mesi dall’apertura del caffè San Marco, accade però l’impensabile: il 28 giugno 1914 a Sarajevo viene assassinato l’erede al trono d’Austria-Ungheria, Francesco Ferdinando e un mese dopo l’Austria dichiara guerra alla Serbia. Subito interviene la Russia e i triestini del 97° reggimento partono per la Galizia. I giovani irredentisti che non vogliono prendere le armi per uno stato considerato loro nemico trovano nel retro del caffè la soluzione ai loro problemi: una stamperia clandestina li fornisce di passaporti falsi con i quali tagliare la corda.

Ma non passa nemmeno un anno e l’Italia rompe la Triplice Alleanza: il 24 maggio 1915 entra in guerra contro l’alleato del giorno prima. «Il re d’Italia mi ha dichiarato guerra. Un tradimento di cui la Storia non conosce uguale è stato commesso dal Regno d’Italia. Dopo un’alleanza durata oltre trent’anni l’Italia ci ha abbandonati nell’ora del pericolo per passare, a bandiera spiegata, nel campo nemico. Noi non abbiamo minacciato l’Italia», si legge sul proclama firmato da Francesco Giuseppe, fatto affiggere in città il 23 maggio.

L’incendio e l’arresto

La reazione è furibonda: la popolazione Kaisertreu (fedele all’imperatore) assalta i luoghi simbolo dell’irredentismo. Alle sette di sera vengono devastate e incendiate la redazione e la tipografia del quotidiano “Il Piccolo”. Poi bruciano i caffè Ai volti di Chiozza e il San Marco, la Lega nazionale e la Ginnastica triestina. Lovrinovich viene arrestato a Lubiana per sospetta attività spionistica a favore dell’Italia. Si è anche iniettato negli occhi il tracoma per non combattere contro i soldati italiani.

Al caffè San Marco non va poi tanto male: i pompieri riescono a domare l’incendio (mentre la popolazione infuriata taglia le manichette che dovrebbero spegnere le fiamme al “Piccolo” e la sede del giornale ne esce completamente distrutta).

Lovrinovich fa la fine di tanti irredentisti sudditi asburgici: internato in un campo. Finisce nella baracca di punizione dell’ospedale di Liebenau, nell’Alta Austria. Finita la guerra, passata Trieste all’Italia, nel 1919 il caffè San Marco riapre. Dopo tre anni, però, Lovrinovich lo cede ad Alberto e Ita Finzi, che rientravano da Roma dov’erano stati sfollati durante la guerra. Mentre tanti caffè, simbolo della mollezza asburgica, chiudono e vengono trasformati in negozi, banche e quant’altro, il San Marco prospera e diventa punto di riferimento della borghesia intellettuale e della comunità ebraica (il caffè e la sinagoga sono addossati l’uno all’altra, nel medesimo isolato). Ai tavoli del caffè si ritrovano i pittori triestini Argio Orell, Guido Grimani, Ugo Flumiani, nonché Vito Timmel, di origine viennese e di netta impronta secessionista. A quest’ultimo artista sono in genere attribuite molte delle opere presenti tutt’oggi nel caffè, ma con ogni probabilità le ha soltanto ispirate e non è intervenuto direttamente.

Nuovo cambio nel 1936: la gestione Peri-Pelosi mette mano alle decorazioni e i tralci verdi vengono ricoperti con foglie d’oro, un po’ perché ormai l’ostentazione bianco-rosso-verde ha perso il senso che aveva durante il periodo austriaco, un po’ perché ripristinare i vecchi colori costerebbe troppo. L’attuale color bronzo delle foglie è dovuto allo scurirsi dell’oro apposto in quell’anno.

Comincia l’era Stock

Nel 1938 il locale viene acquisito da Antonio Stock che lo gestisce fino al 1960. In quell’anno muore e gli subentrano le figlie, fino al 1987. Il caffè diventa il salotto di Trieste, si trovano ogni giorno giornali italiani, inglesi (dal 1945 al 1954 la città è sottoposta al Governo militare alleato) e tedeschi (buona parte della popolazione di allora ha frequentato le scuole nel periodo austriaco e parla correntemente tedesco). Dal 1914 il caffè è sede della Società scacchistica triestina e si continua a giocare a scacchi, così come a biliardo. Nel 1962 esce il film “Senilità”, di Mauro Bolognini, tratto dall’omonimo romanzo del triestino Italo Svevo. Numerose scene sono girate tra i tavoli del San Marco.

La rinascita come caffé letterario

Lo scrittore Giorgio Voghera elegge il San Marco a suo quartier generale, e la tradizione sarà continuata da Claudio Magris che non disdegna di scrivere nel locale. Lo frequentano anche Fulvio Tomizza e Stelio Mattioni, quest’ultimo lo descrive in “Il mondo di Celso” (1994).

Nel 1987 la gestione passa a una cooperativa che intende rilanciare il caffè, facendone un fulcro di vita sociale e per questo motivo nel 1988 promuove un restauro che ridà vita alle decorazioni ormai logore. Si susseguono vari gestioni sino a quella di Franco Filippi che dal 1997 al 2012 che riporta linfa al locale. Alla sua morte però il San Marco – proprietà delle Assicurazioni Generali – resta chiuso per vari mesi e si teme che non ritorni mai più in attività. Invece lo rileva una famiglia di ed commercianti editori triestini greci, Asterios Delithanassis e suo figlio Alexandros, che, nell’ottobre 2013, lo riaprono introducendovi una libreria e trasformandolo in caffè letterario.

Foto©APT Trieste/Crozzoli

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