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Da Buenos Aires a Santiago, via Patagonia. Viaggio tra tavole sublimi

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Ristoranti

Da Buenos Aires a Santiago, via Patagonia. Viaggio tra tavole sublimi

Probabilmente Edmondo De Amicis non immaginava cosa sarebbe diventata dopo un secolo dal suo romanzo Cuore quell’Argentina in cui ambientò la storia di Marco, partito da Genova in cerca della madre attraverso Buenos Aires passando per Rosario, Cordoba e infine raggiungendo San Miguel de Tucumán, ai piedi delle Ande.

Il nostro itinerario è stato differente sia per il percorso scelto ma soprattutto per il motivo del viaggio, certamente più leggero e ludico. Non che avvicinarsi ad una terra sconosciuta attraverso il cibo non sia immenso, s’intende. Mangiare una semplice empanada, una parilla, un tradizionale cuero, un curanto cileno o un dulce de leche ha rappresentato la maniera più genuina di conoscere un paese, la cui cultura enogastronomica sta crescendo esponenzialmente.

Buenos Aires, e a seguito Santiago del Cile, rappresentano la nuova frontiera della cucina sud americana, formata da cuochi preparati a contatto con un pubblico esigente e sempre più curioso.

Partiamo dal Tegui, uno dei ristoranti maggiormente interessanti della città situato nel quartiere Palermo Hollywood. Difficile da notare se non per la porta  nera al centro di una parete coperta da murales. La strada non è illuminata e tanto meno l’ingresso al locale, niente di niente. Se si arriva a suonare il campanello è solo perché un amico ci ha fornito l’indirizzo; il passaparola è l’unico modo per venire a conoscenza del Tegui. La parte più difficile, dunque, è trovarlo. Una volta entrati nell’ultimo santuario del cibo di Buenos Aires (45 coperti interni più una decina nel cortile esterno tra le foglie di banano) non resta che osservare la proposta settimanale dello chef  Germán Martitegui.

Brillante personaggio e astro nascente della cucina argentina, allievo di Francis Mallmann, proprietario e ideatore di altri due famosi ristoranti della capitale, Olsen e Casa Cruz. Il menu segue la stagionalità e si esprime attraverso cinque antipasti e sei piatti principali oppure con i tre percorsi degustativi proposti dalla cucina.

Notevole la terrina di coniglio con pesche compresse e yogurt di cetriolo, il filetto di vitello con chimichurri, patate cotte al carbone, uova e farofa brasiliana o il polpo con melone, rucola e avocado. Pregevole carta dei vini che con oltre cento etichette fornisce un’ampia panoramica delle produzioni locali e cilene con qualche accenno alle cantine europee.

Essere a Buenos Aires e non far visita allo storico ristorante Oviedo è inimmaginabile. Da ventisette anni è la scelta di chi vuole atmosfera classica con servizio impeccabile. Un trio composto dallo storico proprietario Emilio Garip, lo chef Martin Rebaudino e il suo braccio destro Ramon Chilliguay.

La carta comprende diversi classici della cucina spagnola come tortilla, peperoni ripieni, calamari alla griglia, baccalà, crema catalana, ma realizzati dalla mano di chi vanta collaborazioni al fianco di Alex Atala del Dom di Sao Paulo. I fornitori di Emilio Garip sono gli stessi di tanti altri ristoranti della città ma difficilmente sarà possibile mangiare piatti di pesce altrove dopo essere stati qui, non basta avere la migliore materia prima se non la si conosce a fondo. Riconosciuto negli anni come l’ambasciatore della cucina porteña, l’Oviedo è divenuto una certezza negli anni, sempre lì all’angolo tra Calle Beruti y Calle Ecuador.

Lasciando la capitale e iniziando la traversata verso sud, attraverso la sconfinata e colorata Patagonia, viene quasi naturale fermarsi a El Calafate. Situata sulla riva meridionale del Lago Argentino, questa cittadina della provincia di Santa Cruz è il punto di partenza per la visita di diversi punti d’interesse del Parco Nazionale Los Glaciares, fra i quali il ghiacciaio Perito Moreno, il Cerro Chaltén e il Cerro Torre. Tra paesaggi imprevedibili e affascinanti silenzi incolmabili, David Pecovich produce delle straordinarie birre. Originario di Buenos Aires, tre anni fa è stato stregato da questo luogo (come biasimarlo) dove ha deciso di aprire il birrificio Chopen, parola aborigena che indica il loco (matto).

In Argentina, come in Cile, l’interesse per l’artigianalità birraia è recente e solo negli ultimi anni hanno fatto la loro comparsa sul mercato alcuni pionieri che regalano interessantissimi prodotti. David ha da poco Fernando Ferrer come socio, entrambi autodidatti, producono una classica linea composta dalla chiara, rossa e nera, utilizzando l’orzo coltivato nelle Pampas e l’acqua dei ghiacciai. Il risultato è una birra meno pulita e fine di quelle a cui siamo abituati in Europa ma estremamente schietta, contraddistinta da mineralità e da tratti sfrontati come le terre in cui crescono le materie prime che la compongono.

È arrivato il momento di entrare nella città più australe del mondo, Ushuaia è il capoluogo della provincia Argentina della Terra del Fuoco. Nel suo punto più alto, illuminato dalle candele e affacciato sulla baia del Canale di Beagle, svetta il ristorante Kaupè. Perfetto per una zuppa di granchio gigante e per i numerosi piatti a base di pesce di cui si occupa il cuoco Ernesto Vivian insieme alla famiglia. A stretto contatto con Slow Food per la rivalorizzazione del baccalà australe, e nominato miglior ristorante d’Argentina nel 2005, il Kaupè offre una cucina regionale focalizzata sul pescato locale. La centolla natural e il merluzzo rappresentano la più vera espressione di questa terra così lontana e così vicina al Polo sud.

La decisione è presa, attraversiamo le acque fredde e turbolente dello Stretto di Magellano dove Atlantico e Pacifico si incontrano fino ad arrivare nella Repubblica del Cile. La fame di scoperta è la stessa che spinse nel 1520 l’esploratore Ferdinando Magellano a divenire il primo europeo a navigare lo stretto, ma con un altro obiettivo: cenare nel Boragò di Santiago del Cile. Sarebbe riduttivo parlare di stagionalità in questo caso. Una ventina di cuochi creano settecentocinquanta piatti all’anno con due menu denominati “endemica”, dove ogni ingrediente proviene da zone impervie e selvagge. Stretto legame al retaggio degli antenati con cotture su differenti pietre e affumicature con legni provenienti da disparate regioni del paese.

Al comando c’è il giovane chef visionario Rodolfo Guzmán che guida la sua brigata verso la scoperta: un paio di volte l’anno si recano sull’isola di Pasqua, penetrano nel deserto di Atacama, scendono lungo le acque nere del Bio-Bio, stabiliscono rapporti di fratellanza con i contadini della Patagonia, i pescatori, gli indigeni, gli allevatori di quelle terre alla fine del mondo. Non ci sarebbe da stupirsi se al servizio ci viene presentato il brodo di origini precolombiane “curanto” rielaborato, i bocconcini di manzo della Patagonia con insalata di yuyo ed erba selvatica o il gelato di bacche di maqui e kefir. La meraviglia invece è intensa tanto quanto chiacchierare con Guzmán.

Questa è solo una porzione dello scenario sud americano che ha innescato la nuova rivoluzione gastronomica. Sarà forse un caso che si tratti della patria argentina in cui nacque il leader della rivoluzione cubana?

Si ringrazia la famiglia Rocchietti per l’appoggio e l’esperienza fornite durante la “spedizione”.

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