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Qui è vietato fotografare: i cuochi aprono la guerra contro gli Instagrammer

Condividere la buona cucina e il piacere di stare a tavola nell’era 2.0 grazie ai social network. Una mania che spopola sulle varie piattaforme Internet, da Instagram a Facebook e Pinterest, dove ormai si trovano veri e propri album regionali e tematici con foto ai piatti dei grandi chef e non, scattate direttamente nei ristoranti. Tra i tag più diffusi in Italiatra gli Instagrammers (o Igers, abbreviato) al primo posto #food e #igersitalia (entrambi al 30%), seguiti da #instafood (29%), #foodporn, il famoso hashtag per i “food-addicted” (23%) e #instagood (17%), secondo un’analisi effettuata da Followgram Analitycs sul 2013.

Vietato fotografare

Una pratica ormai mondiale che, però, fa inorridire i maestri dell’arte culinaria d’Oltreoceano e d’Oltralpe, stando a due indagini condotte recentemente dal New York Times per gli Stati Uniti e da Culture visuelle per la Francia e che hanno riportato le vibranti proteste di chef del calibro di David Chang (Momofuku Ko, a New York), di Moe Issa (Chef’s Table, a Brooklyn Fare) o di Alexandre Gauthier (La Grenouillère, a La Madelaine-sous-Montreuil) e Gilles Goujon (chef tre stelle a  l’Auberge du Vieux Puits, a Fontjoncouse, nell’Aude). Per non parlare degli eccessi del Four Barrel Coffee di San Francisco che all’ingresso ha addirittura appeso un cartello con il divieto “Non postare questa foto su Instagram, tu hipster” o dell’Eva Restaurant di Los Angeles che strizza l’occhio alla crisi economica offrendo uno sconto del 5% a chi lascia il proprio telefonino all’ingresso o dello stesso La Grenouillère che da anni pubblica il divieto di foto su tutti i menu.

In Italia approccio soft

E da noi, come la prendono i nostri ‘stellati’? Sicuramente con più simpatia e accondiscendenza. “Non è un fenomeno nuovo – minimizza Antonio Santini di Dal Pescatore – e va a periodi: ogni tanto ritorna e poi scompare. Non c’è da fare delle barricate per difendersi, basta il buon senso”.

Non a caso l’Italia gode fama di Paese più accogliente del mondo, soprattutto a tavola: i nostri maestri sono ben lontani dalle posizioni scandalizzate dei colleghi stranieri. Una foto non si nega a nessuno, purché non arrechi fastidio agli altri commensali. Anche perché i nostri connazionali, a dispetto della reputazione di cui siamo tacciati all’estero, a tavola sono molto educati e discreti: chiedono sempre il permesso di scattare al maître e si limitano all’uso dello smartphone, senza flash.

Alajmo: meglio la memoria di un sapore

Niente a che vedere con le scene di treppiedi montati in mezzo alla sala o di avventori che salgono sulle sedie per prendere meglio l’inquadratura, condotte cui ha assistito l’americano chef David Bouley nel proprio locale newyorkese e che ha fatto scoppiare la polemica. Ma si sa, da noi la cucina è una religione e il ristorante il suo tempio. “Non nego che i social network siano un grande mezzo di condivisione – afferma Massimiliano Alajmo. Però, personalmente, quando mi siedo a tavola cerco di condividere un’esperienza con chi mi sta intorno, senza distrazioni.

Le foto possono servire come ricordo, ma non saranno mai profonde come la memoria di un sapore”. Ed è lo stesso atteggiamento con cui anche i clienti si accostano al cibo presso il suo ristorante Le Calandre, visto che lì nessuno ha mai sentito l’esigenza di vietare alcunché. “Come gestore – occlude Alajmo – cerco di accontentare tutti i nostri clienti, anche quelli che vivono di pane e foto. Anche se, come cliente, apprezzo chi non disturba gli altri commensali”.

Diritto d’autore sulla ricetta scritta, non sulla foto

E come la mettiamo con i diritti d’autore delle ricette? “Fotografare la creazione del piatto è lecito, dal punto di vista della legge”, spiega l’avvocato Dante De Benedetti, socio fondatore e titolare dello studio legale Mdba di Milano, che da anni offre la propria consulenza proprio agli chef. Altra cosa, invece, riportare la ricetta, che invece viene trattata come opera letteraria. “Nel senso che – prosegue De Benedetti – la descrizione, scritta, del procedimento per realizzare il piatto è, dal punto di vista del diritto d’autore (Legge 633/1941), uno scritto tutelabile come opera dell’ingegno. Di recente, il Tribunale di Milano ha deciso una causa in cui un appassionato di salumi aveva pubblicato su Internet alcuna ricette e un’altra persona le aveva copiate e messe su un suo libro. Il Tribunale, riconoscendo la tutelabilità delle ricette, con una sentenza dello scorso 10 luglio, ha condannato l’autrice del libro”.

Santini: il vero problema è la violazione della privacy degli altri clienti

Ma a preoccupare gli chef nostrani, in fondo, non sono i diritti d’autore. “Il punto non è questo – ribadisce Santini –. I nostri piatti sono già fotografati e descritti in innumerevoli pubblicazioni. Il problema, semmai, è la violazione della privacy degli altri commensali, che probabilmente non gradiscono di finire online, seppure per sbaglio, in foto altrui o di essere accecati da flash durante la cena. La voglia di raccontare la propria esperienza è lecita, ma senza coinvolgere gli altri”. E la soluzione è molto semplice: appena qualcuno inizia ad armeggiare in sala con enormi apparecchi fotografici o cavalletti viene solo invitato a non farlo. O a fotografare in piena libertà in cucina, dove non esiste alcun divieto. “Ma è rarissimo che capiti – conclude Santini –. Chi viene nel nostro ristorante, di solito, lo fa perché segue un certo percorso gastronomico di ricerca e passione. E devo dire che incontriamo persone sempre più intelligenti, educate e preparate. Soprattutto tra i giovani che, in quanto a cultura del cibo, sono meglio delle generazioni precedenti”.

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