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La guerra del Tiramisù arriva in tribunale: veneto o friulano?

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La guerra del Tiramisù arriva in tribunale: veneto o friulano?

Il tiramisù rimarrà orfano. Chiude il ristorante di Treviso che gli ha dato i natali. O meglio, che sarà ritenuto il suo legittimo genitore finché un tribunale non decida diversamente. Già perché in quest’Italia dove avere giustizia in tempi ragionevoli è una chimera, una corte di giustizia dovrà stabilire se il dolce italiano più celebre nel mondo sia nato alle Beccherie di Treviso, al Roma di Tolmezzo (in provincia di Udine) o al Vetturino di Pieris (in provincia di Gorizia).

Chiude il ristorante di Treviso

L’annuncio della chiusura delle Beccherie è stato dato dall’attuale gestore, Carlo Campeol: «Il 30 marzo pagherò i miei tre dipendenti e i fornitori e chiuderò per sempre». Fine di una storia cominciata nel 1939. Carlo è il figlio di Alba e Aldo Campeol che, assieme al cuoco e Roberto “Loly” Linguanotto, hanno messo a punto un dolce a base di savoiardi, caffè e mascarpone, chiamandolo – alla veneta – tiramesù, poi italianizzato in tiramisù (la scarsa dimestichezza degli italiani con il veneto è dimostrata dall’incapacità di pronunciare correttamente i nomi: Padoàn, Benettòn, Coìn, tanto per citare i più celebri).
Fu Giuseppe “Bepi” Maffioli, aedo della cucina veneta in generale, e trevisana in particolare, a svelare nel 1980 l’origine del tiramisù dalle pagine di Vin Veneto, la rivista da lui fondata.
«È nato recentemente, poco più di due lustri or sono, un dessert nella città di Treviso, il tiramesù, che fu proposto per la prima volta nel ristorante alle Beccherie da un certo cuoco pasticcere di nome Loly Linguanotto che, guarda caso, giungeva da recenti esperienze di lavoro in Germania. Il dolce e il suo nome tiramisù, come cibo nutrientissimo e ristoratore, divennero immediatamente popolarissimi e ripresi, con assoluta fedeltà o con qualche variante, non solo nei ristoranti di Treviso e provincia, ma anche in tutto il grande Veneto ed oltre, in tutta Italia. Di per se stesso è in fondo una zuppa inglese al caffè, ma non era ancora tiramesù, e bisogna ammettere che il nome ha una sua prestigiosa importanza», scriveva Maffioli. L’intuizione di Linguanotto, continuava Maffioli, cuoco con la passione della pasticceria, era stata quella di mescolare alcuni semplici ingredienti in grado di portare Treviso a spasso per il mondo. E Carlo Campeol gli ribatteva: «Solo agli inizi degli anni Settanta, non inventando nulla ma solo unendo ingredienti da sempre utilizzati e a tutti noti, è nato un dolce che ha scatenato la fantasia di molti e la voglia di primogenitura da parte di tutti».

Il Roma di Tolmezzo rivendica la primogenitura

Fino a non molto tempo la primogenitura del ristorante trevisano Beccherie era generalmente accettata. Ma c’è stato qualcuno che ha detto: «Proprio no!» e ha rivendicato per il tiramisù natali carnici. Si tratta di Norma Pielli, classe 1917, che per oltre vent’anni ha gestito il Roma, di Tolmezzo, assieme allo scomparso marito Giuseppe “Beppino” Del Fabbro. Le cose sarebbero andate così: il Roma proponeva l’artusiano dolce Torino, a base di savoiardi, burro, cioccolata, rosso d’uovo, latte. In un giorno nel 1951, «o forse nel ’52 non ricordo bene», racconta Norma Pielli, «lo modificai, sostituendo il mascarpone al burro. L’altra cosa fondamentale fu che inzuppai i savoiardi nel caffè amaro». Norma ricorda che fu il marito a battezzarlo: «Questo è un dolce che tira su, disse Beppino, chiamiamolo tiramisù». Si trattava di una sorta di rinvigorente per riprendersi da una giornata passata tra i sentieri di montagna o sugli sci. «Veniva gente da fuori, da Monfalcone, Trieste per mangiarlo, assieme a poi tutti quelli che si fermavano al Roma dopo le escursioni in montagna», conclude Pielli.
Invece Mario Cosolo, cuoco di Pieris, nel goriziano, avrebbe inventato il tiramisù addirittura dieci anni prima, nel 1940. Mario, singolare figura di chef partigiano, aveva gestito per decenni il ristorante Vetturino. Lui, Mario del Vetturino, come veniva chiamato, era noto per l’abilità culinaria e per l’impegno antifascista. È la figlia Flavia a rivendicare per il padre la creazione del dolce. «Fin dagli anni Trenta mio papà proponeva una coppa di cioccolato e zabaione – allora il mascarpone non c’era – che chiamava coppa vetturino. All’inizio degli anni Quaranta ha cambiato il nome al dolce, ridenominandolo tiramisù». Sarebbe stato il commento di un cliente a indurre Mario a mutare il nome. «Ricordo che mio padre mi raccontò di un gruppo di avventori che gli disse di aver apprezzato particolarmente la coppa vetturino con questo commento: “Ottimo, c’ha tirato sù”. Da lì l’idea di ribattezzare il dessert», osserva Flavia Cosolo.
Nella guerra del tiramisù c’è da registrare anche un battibecco televisivo, seppur in tono amichevole, tra i presidente delle regioni Veneto, Luca Zaia, e Piemonte, Roberto Cota. Il primo sosteneva di voler richiedere una certificazione di origine del tiramisù, un po’ come accaduto con Napoli e la pizza (in agosto ne aveva scritto anche il britannico Guardian), il secondo ribatteva che il tiramisù non può essere veneto, visto che i savoiardi sono piemontesi.
In ogni caso della disputa si occuperà un giudice. Gli ex gestori dell’albergo Roma affermano di avere i documenti in trado di provare che da loro si serviva il tiramisù ben prima che a Treviso e la famiglia Pielli-Del Fabbro si è rivolta a un legale per ottenere la certificazione europea. Teresa Billiani, questo il nome dell’avvocato, spiega: «Si tratta di una storia incredibile e affascinante un pezzo di storia dell’immediato dopoguerra di questa famiglia e della nostra terra. Una vicenda che permette ai Del Fabbro di rivendicare la paternità del noto e famoso tiramisù, ideato, creato ed inventato dalla madre Norma Pielli».
E chissà che in questa disputa tutta nordestina non si inserisca qualcun altro. Il bar Pompi di Roma, infatti, sostiene che «il tiramisù Pompi è il frutto di quasi 50 anni di esperienza, di un lungo e costante processo di miglioramento, di un’accurata selezione della materia prima e ovviamente da quelle piccole, fondamentali e uniche interpretazioni personali del suo creatore. Tutto questo ha permesso al tiramisù Pompi, di diventare a pieno titolo uno dei simboli del made in Italy più amati nel mondo».

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