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S'infiamma la polemica sulla mela sempreverde. Ma la Artic non è…

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S'infiamma la polemica sulla mela sempreverde. Ma la Artic non è Ogm...

“Pomi della discordia”, “sempreverdi”, “mele eterne”… I soprannomi si sprecano, ma la novità resta quella: sulle tavole delle famiglie americane potrebbero sbarcare Arctic Golden e Arctic Granny, le mele che non anneriscono, non invecchiano e si addentano dopo settimane come se fossero fresche di mercato. Le due varietà sono state realizzate da una società canadese, la Okanagan Speciality Fruits, ora in attesa del via libera del dipartimento dell’agricoltura di Washington per la commercializzazione negli Stati Uniti. Il sì sembra scontato, ma contro le «arctic apple» si sono già alzate due barriere. Quella, più prevedibile, dei gruppi no-ogm e delle associazioni ambientaliste. E quella degli agricoltori: i produttori di mele degli States, di per sé elastici alle svolte bio-tech, temono esborsi super per la riconversione forzata delle tecniche di coltura.

Come nasce la Artic Apple

Ma come nasce una mela che invecchia senza le caratteristiche macchie marroni? I ricercatori dell’Okanagan non hanno introdotto nuovi geni, ma si sono limitati a manipolare la sequenza dello stesso frutto: riducendo l’enzima responsabile dell’imbrunire, il polifenolo ossidasi, la mela può essere sbucciata, tagliata a fette e conservata senza scadenze.  Il processo, come spiegato anche sul sito dell’Okanagan, è stato effettuato sulle sequenze geniche della sola mela, senza “immissioni” dall’esterno di alcun genere. E il rischio di inquinamento genetico tra mele Ogm e mele biologiche, denunciato dai più critici? Non esiste: a quanto hanno spiegato al Sole 24 Ore alcuni ricercatori favorevoli al progetto, «il processo genetico è stato effettuato usando sequenze geniche della mela e non di altre specie. Il risultato della manipolazione genetica è stato semplicemente quello di diminuire l’espressione di questo enzima, responsabile appunto dell’imbrunimento». «Dal momento che i meli vengono propagati per innesto (non si pianta il seme, ndr) – continuano i ricercatori – non ci sono in rischi che gli alberi ogm inquinino geneticamente le coltivazioni di mele non-ogm attraverso polline e la fecondazione».

Secondo i dati forniti da Okanagan, oltre la metà dei consumatori nordamericani (6 su 10) guarderebbe con interesse a mele Golden e Granny nella versione “arctic”. E le istituzioni, cioè il dipartimento dell’Agricoltura, si sono mostrati più che favorevoli alla commercializzazione. Secondo gli scienziati che hanno esaminato il fascicolo, le mele Okanagan non contengono «nulla di pericoloso» e potrebbero raddrizzare un mercato in calo nei consumi e nelle vendite.

Il no più netto arriva invece dal Northwest Horticultural Service, la principale sigla di categoria dei produttori. Il solo stato di Washington incide per il 44% sulla produzione nazionale, con più di 146mila acri in coltivazione. E’ facile immaginare quanto pesi, se non altro mediaticamente, la minaccia del «disastro economico» che si rovescerebbe sul settore . Per una volta in linea con i gruppi no-ogm, la Nhs teme il contraccolpo nei costi di produzione per la conversione forzata delle culture. Christian Schlect, il presidente dell’associazione, si è detto «preoccupato per l’impatto sul marketing» della doppia novità: dai costi addizionali (che si scaricherebbero sul prezzo di vendita) all’impatto estetico della mela, meno naturale e meno genuina di quella in tavola da sempre.

In Italia, primo produttore d’Europa con 70mila ettari e 2mila tonnellate di pomi l’anno, i feedback sono anche più tiepidi. La Coldiretti, in una nota di commento alla notizia, ha precisato che 8 italiani su 10 (il 76%) sono contrari a l’utilizzo di prodotti geneticamente modificati» e che nel nostro paese si è adottata la «lungimirante scelta» di non ricorrere alle coltura biotech. «Produzioni come la mela della Val di Non (Dop), mela della Valtellina (Igp), la mela dell’Alto Adige (Igp) la Melannurca campana (Igp) e la mela di Cuneo (Igp) che fondano il proprio successo sulla loro distintività che – ribadisce Coldiretti – è tutto il contrario dell’omologazione causata dagli ogm».

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